1973
Nato a Strumica, in Macedonia del Nord, da una famiglia fuggita dalle guerre balcaniche, è poeta, editore, saggista e traduttore. Ha pubblicato diversi volumi di poesia. Le sue opere sono state tradotte in più di trenta lingue. E non solo vengono lette, ma servono anche come base per cortometraggi e composizioni jazz. Madzirov ha lavorato anche per l’e-magazine macedone Blesok ed è il coordinatore macedone del sito internazionale lyrikline.org. Nikola Madzirov presenterà a chiassoletteraria la sua raccolta di poesie Ciò che abbiamo detto ci perseguiterà, a cura di Piero Salabè (Crocetti, 2025). Presentazione dell’editore: “Da nomade letterario, che ha lasciato la propria casa per costruirne una nuova nella memoria poetica, racconta in modo chiaro e pacato le ferite di un passato recente divenuto troppo presto remoto. La guerra nella ex Jugoslavia sembra lontana nel tempo, risolta, e pochi di noi la ricordano, travolti come siamo da sempre nuovi conflitti. Leggendo queste poesie, però, ci si rende conto di quante macerie ci siano ancora da rimuovere. Non si tratta di poesia di guerra: Madzirov, voce tra le più nitide e potenti della poesia europea contemporanea, parla piuttosto di memoria, di esilio interiore ed esteriore, di diversità rispetto al mondo storico e al linguaggio comune”.
Cinema Teatro
domenica 11 Maggio alle 15.15 - 16.30
Carta Bianca a Fabio Pusterla con i poeti Azzurra D’Agostino e Nikola Madzirov
Traduzione di Benedicta Froelich.
Incipit
Ciò che abbiamo detto ci perseguiterà̀, a cura di Piero Salabè
(Crocetti, 2025)
Casa
Un tempo vivevo ai bordi della città
come un lampione
a cui nessuno cambia la lampada.
I muri erano tenuti assieme dalle ragnatele i nostri palmi invece dal sudore.
Ho nascosto il mio orsacchiotto
nelle fessure della muratura rimaneggiata per salvarlo dai sogni.
Giorno e notte ridestavo la soglia
come un’ape che
torna sempre allo stesso fiore.
Era tempo di pace quando me ne andai:
il morso nella mela non si era ancora scurito,
sulla lettera c’era un francobollo con una vecchia casa
abbandonata.
Da quando sono nato migro verso luoghi silenziosi. Attaccati ai miei passi c’è un vuoto
che come la neve non sa se appartiene alla terra
o all’aria.
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Non so
Lontane sono tutte le case che sogno,
lontana la voce di mia madre
che mi chiama a cenare, mentre io corro verso i campi di
grano.
E lontani siamo anche noi come una palla che non centra
lo specchio della porta
e svirgola in cielo, esistiamo
come un termometro preciso solo quando
lo guardiamo.
Lontana è la realtà che ogni giorno mi interroga
come quello sconosciuto che in mezzo al viaggio
mi sveglia e mi chiede “È questo il bus?”,
e io rispondo “sì”, ma in realtà vorrei dire “non so”,
non so dove siano le città dei tuoi nonni
che vorrebbero lasciarsi dietro tutte le malattie conosciute
così come le cure a base di pazienza.
Sogno una casa sulla collina dei nostri desideri,
per vedere come le onde del mare
tracciano il cardiogramma delle perdite e degli amori,
come la gente continua a credere per non sprofondare
e cammina per non essere dimenticata.
Lontane sono tutte le capanne in cui ci riparavamo dalla
pioggia
e dalla pena dei cervi che morivano davanti a cacciatori
più soli che affamati.
Lontano è l’istante che mi chiede ogni giorno
“È questa la finestra? È questa la vita?”, e io rispondo
“sì”, ma in realtà “non so”, non so se
gli uccelli parleranno mai senza dire “Guerra”.