L’ultimo spenga la luce è stato inaugurato martedì 9 maggio con un concerto presso il Cinema Teatro: firmato The Tiger Lillies. La band inglese, già nominata ai Grammy, ha dato il via alla diciassettesima edizione di ChiassoLetteraria con uno lo spettacolo From The Circus To The Cemetery, proponendo i successi della loro trentennale carriera: una macabra miscela avanguardista composta da un’aura underground che riporta alla Berlino prebellica, con un pizzico di punk, quanto basta di burlesco anni Trenta e tutta la magia del music-hall inglese.
La montagna, il luogo della resistenza curda
di Elisabeth Sassi
Nuovo giorno e nuova atmosfera: abbandoniamo i toni di stupore e meraviglia per fare spazio alla testimonianza di Jamal Zandi, traduttore e attivista per i diritti umani che, in dialogo con Sara Sermini, ha presentato in anteprima nella sua versione in lingua italiana Il cimitero dei lumi (edito da Il ponte del sale, 2023), poema di Sherko Bekas (Sulaymaniyah, 1940 – Stoccolma, 2013) considerato il massimo poeta curdo, attivo nel Movimento di liberazione del Kurdistan e insignito dei premi Pîramêrd e Anqa Al-Zahbi per la letteratura in Iraq. Ad accomunare autore e traduttore è l’esperienza dell’esilio, svizzero per Jamal Zandi, svedese per Sherko Bekas e soprattutto l’urgenza di raccontare la tragedia del Kurdistan che nel suo poema, Sherko Bekas, non cerca mai di addomesticare, ma riporta in tutta la sua brutale realtà.
Il cimitero dei lumi è la prova di come una poesia epica moderna sia possibile. Il testo pubblicato nel 2004 ancora oggi risuona e accompagna le lotte delle ragazze e delle donne che combattono e muoiono in Iran. Il ruolo delle donne nella storia curda ricopre ampio spazio, loro più di tutti, afferma Jamal Zandi «sono quelle che soffrono di più ancora oggi in Kurdistan, in attesa che gli uomini facciano ritorno ai loro villaggi» perché, mentre gli uomini venivano deportati per lo sterminio, il destino delle donne era incerto, venivano prima di tutto separate dagli uomini per poi essere spostate nei campi di concentramento, dai quali alcune di loro sono sopravvissute. Al-Anfâl, “il bottino” così veniva chiamata la campagna di pulizia etnica e religiosa, un termine che Saddam Hussein attinge dal titolo dell’ottava sura del Corano per legittimare il suo operato e per mostrare «ai nuovi mussulmani come comportarsi nei confronti dei non credenti e come spartirsi le ricchezze ottenute durante la guerra». Un bottino costituito dalle terre, dai villaggi e dalla gente che popola le montagne e le pianure del Kurdistan meridionale: si stima che più di 180.000 persone abbiano perso la vita durante il genocidio del popolo curdo avvenuto tra il 1986 e il 1989.
Mentre la sua città era sotto i bombardamenti, prosegue Jamal Zandi, è nata in lui la consapevolezza dell’importanza di tradurre l’opera di Bekas in Occidente: «il ruolo del poeta è molto importante nella società curda, perché è attraverso la poesia che vengono diffuse le idee, la nostra cultura. La generazione di Bekas ha preso parte attiva nella lotta e attraverso la poesia hanno parlato al popolo di resistenza e di liberazione». Sherko Bekas che scrive in uno dei dialetti curdi (in uso anche tra Iraq e Iran) ne Il cimitero dei lumi diviene io finzionale, intraprendendo così un viaggio – reale e metaforico – dentro quella terra disseminata di massacri, dentro le fosse comuni «dove il popolo curdo è sotterrato insieme ai lumi di ogni possibile ragione». Come ha ricordato più volte Jamal Zadi, sono le donne – coloro che sono rimaste – il filtro attraverso il quale viene narrata questa vicenda, le cui radici della memoria sono strette «all’impossibilità di accettare qualunque giustificazione». È perciò Kâlê la donna che guiderà l’io finzionale procedendo per luoghi, dentro quella terra disseminata di massacri, dentro le fosse comuni «dove il popolo curdo è sotterrato insieme ai lumi di ogni possibile ragione».
Inoltre, in questo viaggio la montagna riveste un significato fondamentale ed è proprio nel verso di Bekas: «sulle spalle della storia carico la mia geografia» recitato per l’occasione da Jamal Zadi, che è racchiuso il senso più profondo del poema e il motivo per cui Zadi ha scelto di tradurlo. Per Bekas, infatti, la culla della sua poesia è la montagna, dalla quale sono passati i deportati verso i campi di concentramento, ma anche il luogo per ritrovare la scrittura, dove, tra le rocce, la prospettiva muta continuamente. Le montagne conservano la storia e l’identità del popolo curdo, sono il rifugio che rende possibile la resistenza e il regime iracheno di Saddam Hussein, con il suo obiettivo di “spianare le montagne”, lo sapeva bene. Anche quando il poeta, Sherko Bekas, si ritroverà a scrivere lontano da questa terra, in esilio, mettendo in scena se stesso e attingendo dalla memoria, cosciente di nonpoter più ricoprire un ruolo attivo nella resistenza tra le sue montagne, la forza delle sue parole non andrà scemando. Lontano da quella geografia si definì «fumaiolo di una poesia in esilio» e ancora oggi la nube generata della combustione delle sue rivendicazioni continua a ricoprire i cieli d’Europa, tant’è che le sue poesie sono state inserite nei testi scolastici della Scandinavia. Il finale de Il cimitero dei lumi rappresenta una grande sfida per il suo traduttore, che porta alla superficie la meravigliosa intraducibilità che esiste tra una lingua e l’altra, tra una cultura e l’altra. Restando nei margini di questa complessità, Jamal Zadi ha definito la conclusione di questo poema una sorta di lamento, che per tradizione pure nell’area del Mediterraneo era affidato alle donne, un canto di dolore di fronte all’insensatezza di questa storia secolare di colonizzazione da parte dei Califfati e Wālī dell’Isalm dall’Oriente all’Occidente, che non solo non si esaurirsce nel corso del Novecento, ma anzi si rafforza dopo la prima guerra mondiale, in seguito alla creazione a tavolino del «nuovo Iraq» da parte della Gran Bretagna con il consenso delle altre potenze occidentali.
CHL satellite
Ricordiamo inoltre i numerosi eventi satellite che contribuiranno ad arricchire i giorni del Festival come, a pochi passi dal Max Museo, l’esposizione d’arte contemporanea Dissidarte, in cui sei artisti e artigiani – Valerio Abate, Yuri Bedulli, Antonia Boschetti, Alessandro Mazzoni, Antinea Peruch, Bajdir Shatrolli – aprono le porte del loro studio al pubblico per presentare attraverso differenti supporti (pittura, scultura e installazione) la loro personale interpretazione del tema della “dissidenza” oppure tra una conferenza e l’altra, vi proponiamo la mostra fotografica all’aperto T. House, un percorso fotografico nei dintorni del Centro Culturale di Chiasso, che raccoglie gli scatti di Hugo Weber, Angelo Leonardo, Alex Zoboli, un’occasione per cui le indagini condotte da ciascuno degli autori coesistono nel medesimo spazio, attraversando quella linea di confine tra mimetismo e anticonformismo.