Scegliere il passato non è mai eludere il presente, ma è la possibilità di illuminarlo
di Elisabeth Sassi
L’ultimo giorno di festival inizia al mattino e, nonostante la domenica sia per molte persone sinonimo di tempo lento, la sala dello Spazio Officina si riempie per l’incontro con Beatrice Salvioni, autrice di La Malnata (2023) e La Malacarne (2024), pubblicati da Einaudi. I due libri compongono un dittico e attraverso gli occhi di due ragazze tormentate e ribelli, Maddalena e Francesca, veniamo trasportate nell’Italia fascista. Con La Malnata e il suo seguito La Malacarne, Beatrice Salvioni costruisce un intenso romanzo di formazione diviso in due atti, ambientato durante gli anni del fascismo in una Monza carica di tensioni sociali. Nel primo libro, La Malnata, si racconta l’incontro tra Francesca, dodicenne di buona famiglia, e Maddalena, soprannominata da tutti “la Malnata”, una ragazza libera, sporca di fango e malvista da tutta la città. Attraverso questa amicizia “impossibile”, Francesca apre gli occhi su un mondo fatto di ingiustizie. La voce che scopre di avere sarà la chiave per iniziare a scegliere chi essere davvero. Nel secondo romanzo troviamo una Francesca cresciuta e marchiata a sua volta da quel termine che la società usa per condannare le donne libere: “malacarne”. Dopo la scomparsa di Maddalena, internata in manicomio, e una fuga da casa che la isola dalla madre e dalla sua classe sociale, Francesca si ritrova a fare i conti con il desiderio, con il senso di colpa e con un paese che scivola verso la guerra. Quando Maddalena riappare, nulla è più come prima. Le due ragazze si ritrovano, ma l’infanzia è finita e ora devono scegliere da che parte stare.
Con questo appuntamento si conclude anche un arco tematico cominciato a marzo con l’Assemblea di ChiassoLetteraria, in cui aveva preso parola Benedetta Tobagi, storica e autrice che si è molto occupata della storia della Resistenza e di Storia delle Donne.

Saranno qui restituiti alcuni nodi principali dell’incontro con l’autrice Beatrice Salvioni, moderato da Mara Travella, Direttrice della Casa della Letteratura.
Perché ambientare La Malnata e La Malacarne durante gli anni del fascismo non è anacronistico.
«Scegliere il passato non è mai eludere il presente, ma è la possibilità di illuminarlo» con questa frase Beatrice Salvioni chiarisce fin da subito la scelta di ambientare entrambi i suoi romanzi in un periodo storico che viene spesso relegato al passato remoto. Per lei, tornare agli anni del ventennio significa decostruire il mito di un’epoca che ha lasciato ferite aperte nella società italiana odierna. «Ovviamente chi scrive o chi immagina una storia è immerso nella sua contemporaneità, perciò la tua posizione nel mondo è inevitabilmente influenzata da quello che senti accadere intorno e che hai ascoltato crescendo. Scegliere un’altra epoca significa solo spostare il focus e, paradossalmente, illuminare di più le inquietanti somiglianze che risuonano nel presente. Benedetta Tobagi alla fine del bellissimo saggio La Resistenza delle donne, dice che il fascismo del ventennio è caduto, di contro il patriarcato è ancora in gran forma. Quest’anno si celebrano gli 80 anni dalla Liberazione, sembrano una vita intera – e sono una vita intera – però sono anche vicinissimi, ci siamo ancora immersi. Il meccanismo di scegliere un’epoca diversa rispetto alla tua è sempre stato utilizzato; Manzoni, giusto per citarne uno, non scriveva della sua epoca perché probabilmente sarebbe stato censurato, però in realtà parlava delle storture che sentiva forti nel suo tempo. Per me è stata la stessa cosa, ho scelto il periodo storico peggiore per infilare i miei personaggi, perché bisogna essere crudeli con i propri personaggi, bisogna metterli in difficoltà. In La Malnata avevo due ragazzine, che poi cresceranno in La Malacarne, che cercano una voce e un posto nel mondo: quindi qual è il periodo storico peggiore dove inserirle? Cosa conta la voce di due ragazzine durante il ventennio fascista?»
Una storia di amicizia oltre lo stereotipo.
Mara Travella, tra i vari riferimenti letterari contemporanei cita Elena Ferrante per quanto riguarda la riflessione sull’amicizia femminile in giovane età. «Nessuna storia nasce da niente. Le storie che inventiamo nascono perché siamo stati folgorati in passato da storie che abbiamo amato» afferma Beatrice Salvioni «io, ad esempio, ho sempre amato i romanzi di formazione perché racchiudono il segreto di poter immaginare il mondo diverso attraverso personaggi, ragazzi e ragazze, che devono confrontarsi con situazioni impossibili, fino a sconfiggere l’incarnazione stessa del male, come in It, il grande romanzo di Stephen King. Perché vi dico questo? Perché quando ero ragazzina c’erano storie di amicizia e di avventure impossibili e al centro c’erano sempre maschi, se c’era una ragazza era un elemento in mezzo a tutti gli altri. Ciononostante mi sentivo vista anch’io in questi gruppi – anche perché Stephen King è molto bravo a tracciare personaggi femminili, bisogna concederglielo. Oggi quando si parla di storie di sorellanza, di amicizia, la maggior parte, stavolta, sono storie con delle ragazze protagoniste, però è come se queste storie non fossero più universali come lo erano prima i racconti di amicizia tra maschi. Purtroppo sento di amiche libraie che rafforzano questo stereotipo, c’è un meccanismo per cui: se devo consigliare un libro a una femmina va bene se i protagonisti sono tutti maschi, se devo però consigliare una lettura a un maschio non lo indirizzerò verso un libro in cui ci sono solo protagoniste. Sento il peso dello stereotipo per cui “se racconti storie di donne e sei una scrittrice allora parli solo alle donne, se sei uno scrittore – uomo – allora parli all’universo”. Perché invece per me può essere universale sia l’uno che l’altro? Elena Ferrante fra tutte è riuscita a creare un legame fra due personaggi femminili immensi, ma se ci fate caso in mezzo, a dividere questi due personaggi, c’è un uomo, ecco, questo è un meccanismo che nelle narrazioni di legami femminili non mi è mai piaciuto, purtroppo si ripete anche Elena Ferrante – che per altre cose adoro – però mi è dispiaciuto che due donne meravigliose, complesse si mettano i piedi in testa per rubarsi un uomo mediocre come Nino Sarratore».
Guardare il mondo con gli occhi di due ragazze tormentate e ribelli, amiche inseparabili, che la Storia vuole tenere lontane.
Nel corso dell’intervista emerge un’attenzione particolare alla scrittura sensoriale. L’autrice non si limita a restituire immagini visive, ma cerca di coinvolgere tutti i sensi, rendendo l’esperienza narrativa profondamente immersiva. Questa scelta stilistica evidenzia la volontà di costruire un universo emotivo denso, capace di evocare percezioni tattili, olfattive e sonore, e non solo visive. Un passaggio significativo è rappresentato dall’espressione “brutale dolcezza”, utilizzata per descrivere l’abbraccio tra Maddalena e Francesca. Da qui prende forma una riflessione sul tema del desiderio: «la casa editrice mi aveva sottoposto un prompt per La Malacarne, poche righe per suggerire di che cosa parla il libro. Nella versione originale scrivevano “[…] ci fa guardare il mondo con gli occhi di due ragazze tormentate e ribelli, amiche inseparabili, che la storia vuole tenere lontane”. Quando me l’hanno mandato ho chiesto che venisse tolto “amiche” perché c’è qualcos’altro, c’è anche una forma d’amore fra loro. Ovviamente c’è la parte di amicizia ma tra Francesca e Maddalena c’è anche un’attrazione di diverso tipo e per me era chiaro fin da subito. Nel primo libro forse è meno esplicitata, ma perché loro sono molto giovani, hanno 12-13 anni, quindi è il classico periodo in cui stai capendo certe sensazioni e arrivano le prime attrazioni, è un momento confusionario al massimo, infatti Francesca è attratta da Noè, che è forse quell’attrazione che si aspettava, perché è quella socialmente più raccontata, poi figuriamoci, durante il fascismo… anche se, non si sa come abbia fatto a entrare nelle maglie del regime, ma nel 1929 in pieno periodo fascista è stato tradotto in Italia il primo romanzo lesbico, Il pozzo della solitudine. Forse non leggevano (ride, n.d.r.). Ad ogni modo, durante il regime, l’omosessualità femminile non veniva raccontata neanche per negarla, quindi per una ragazza che cresce in quel periodo è una cosa quasi inconcepibile».
Per scoprire a cosa sta lavorando Beatrice Salvioni guarda qui l’intervista integrale di domenica 11 maggio allo Spazio Officina.