di Elisabeth Sassi
Il frinire delle cicale, il bubolare di un rapace notturno o, ancora, il ruggito di un grande felino. Quali sono i suoni che abitano il vostro immaginario quando leggete la parola “selvaggio”? Pensieri selvaggi, questo è il titolo dell’edizione di Chiasso Letteraria 2024, giunta alla sua 18esima edizione. All’appuntamento della prima mattinata di festival, oltre ai suoni selvaggi di una foresta improbabile, dove potrebbero convivere gipeti e tigri della Malesia, scopriamo due autori distanti tra loro, e li scopriamo in due incontri separati che si sono susseguiti allo Spazio Officina.
DAVIDE CERULLO, SABATO 4 MAGGIO 10:00
Il sabato mattina si apre con Davide Cerullo. Fotografo, scrittore ed educatore italiano, o meglio, come a lui piace sottolineare: napoletano, «che è un’altra cosa». Benedicta Froelich, che ha moderato l’incontro, per presentare Cerullo ha utilizzato il termine “predestinato” – quello di presentare qualcuno è un compito arduo, tant’è che i titoli che proponiamo all’altro non sempre vengono accolti. Come non è stato ben accolto la sera prima, durante l’incontro di apertura, il termine “intellettuale” da parte dello scrittore spagnolo Javier Cercas. Nessun atto appare più selvatico – e di conseguenza più appropriato – dell’atto di non aderire a etichette. Tuttavia l’etichetta scelta da Froelich per descrivere Davide Cerullo non è un’etichetta facile, bensì è un’etichetta che ci aiuta a capire la complessità del personaggio, che prima di essere fotografo, scrittore, educatore, è stato un camorrista. A soli dieci anni era già ricercato dalla polizia. A quattordici gestiva una piazza di spaccio. A diciassette veniva “gambizzato” da criminali di clan rivali. A diciotto anni viene arrestato e mandato a Poggioreale, carcere nel quale ha scontato la sua pena.
All’apparenza l’incontro con Davide Cerullo è tutto fuorché selvaggio: è piuttosto un incontro conciliante, luminoso, lieve, anche divertente. D’altronde, chi ha un passato brutale come quello di Cerullo difficilmente attingerà da un immaginario onirico, fantastico come la foresta notturna evocata all’inizio, piuttosto i suoi libri avranno un forte carattere autobiografico, crudamente realistico. È lo stesso autore a dire che «la poesia non ci salva la vita, ma la illumina». Nonostante Cerullo si definisca “non credente”, è molto legato al Vangelo, proprio perché era questo libro ad attenderlo un giorno posato sulla branda della sua cella. Una lettura selvaggia, travolgente, così ne parla l’autore, una scoperta fin dalla prima pagina dove qualcuno aveva annotato – racconta lui – ben tre volte: Davide, Davide, Davide. Le notti a Poggioreale erano feroci, e Cerullo si diceva come un mantra: «esci vivo, esci vivo». Esci. Vivo. Come fare quando si è smarriti: il ritrovamento di quel libro ha rappresentato per Cerullo il rinvenimento anche del proprio nome, della propria identità originaria, non ancora corrotta, quel nome che da tempo aveva dismesso, perché la Camorra si prende anche quello: si prende il tuo nome e te ne assegna un altro. E forse è proprio pensando alla parabola personale dell’autore, che Benedicta Froelich ha scelto il termine “predestinato”. Predestinato a quel ritrovamento. Predestinato a ritornare sui suoi passi intraprendendo quel viaggio doloroso che Cerullo ha raccontato al pubblico: un carotaggio che ha scovato un compromesso, che gli ha permesso di scendere a patti con il criminale che è dentro di lui, e che si forma attraverso la lettura. Racconta ridendo: «leggiamo gli stessi libri, non potendo cancellare il mio passato, almeno lo rendo utile».
Davide Cerullo è un personaggio che a Napoli direbbero uno che “tene l’arteteca”, uno che si muove assai. Dunque si alza, abbandona la moderatrice sul palco, prende il microfono e si aggira tra il pubblico e piano piano si svela, nuovamente. Gli occhiali non gli servono più, dunque se li leva; la coppola, quella invece rimane. Cerullo lo dice: si è avvicinato alla scrittura senza pensare di fare del bene a qualcuno, ma ha iniziato a scrivere pensando a se stesso, per fare spazio all’uomo, per lasciar fuoriuscire l’inaspettato. «Quando ero bambino sognavo di avere una pistola per sparare in faccia alla gente, ora sogno di essere un bambino». Quando arriva l’applauso della sala, Cerullo si emoziona, la testa pende da un lato, gli occhi brillano di soddisfazione come quelli di un bambino che viene visto per la prima volta. Misericordia, assoluzione, seconde possibilità: sono tutti universi selvaggi a modo loro, se visti con le lenti dell’autore. Poi l’autore parla anche della scuola, racconta come, secondo lui, la scuola oggi dovrebbe insegnare a provare calore, a conoscere i corpi, a trovare un antidoto alla disumanizzazione. Davide Cerullo è il nono di quattordici fratelli, di cui quasi tutti, tranne tre, hanno precedenti penali. Eppure la colpa non è da ricondurre al luogo, dice l’autore, «non è accaduto perché siamo nati a Scampia, è successo perché non abbiamo mai letto un libro». Poi conclude: «tutti e tutte nasciamo dal buio».
Letture consigliate:
Notizie sulla sua tumultuosa fase giovanile si trovano nel romanzo Ali bruciate. I bambini di Scampia (Edizioni Paoline, 2009).
La sua esperienza in carcere è invece raccolta nel libro Parole evase (Edizioni Gruppo AEPER, 2013).
Da queste dure esperienze sono nati i progetti “Vela: rendere consapevoli”, di cui si parla nel libro La ciurma dei bambini e la sfida al pirata Ozi (Dante e Descartes, 2013) e “L’albero delle storie”, uno spazio aperto dedicato ai bambini del suddetto quartiere.
Tra gli altri libri pubblicati, spesso incentrati sulla realtà di Scampia, si segnalano: Diario di un buono a nulla. Scampia, dove la parola diventa riscatto (Società Editrice Fiorentina, 2016), Poesia cruda. Gli irrecuperabili non esistono (Marotta & Cafiero, 2017), Fiori d’asfalto. C’era una volta l’infanzia … (Società Editrice Fiorentina, 2019), Soldatini di piombo. Amore e morte a Scampia (Becco Giallo, 2021), L’orrore e la bellezza. Storia di una storia (AnimaMundi, 2021) e I volti di Scampia. I giusti di Gomorra (AnimaMundi, 2023).