di Elisabeth Sassi
Il frinire delle cicale, il bubolare di un rapace notturno o, ancora, il ruggito di un grande felino. Quali sono i suoni che abitano il vostro immaginario quando leggete la parola “selvaggio”? Pensieri selvaggi, questo è il titolo dell’edizione di Chiasso Letteraria 2024, giunta alla sua 18esima edizione. All’appuntamento della prima mattinata di festival, oltre ai suoni selvaggi di una foresta improbabile, dove potrebbero convivere gipeti e tigri della Malesia, scopriamo due autori distanti tra loro, e li scopriamo in due incontri separati che si sono susseguiti allo Spazio Officina.
GIORDANO MEACCI SABATO 4 MAGGIO 11:00
La capacità di creare un dialogo in assenza: questa è la potenza della letteratura ed è il bello dei festival. Giordano Meacci ha per prima cosa ricordato agli studenti e alle studentesse del Liceo 1 di Lugano che non c’è pratica più antica del raccontarsi storie, e proprio questa consuetudine ha permesso ai nostri antenati e alle nostre antenate di attraversare le notti, di affrontare la paura dei lupi ululanti al di fuori delle grotte. Ogni anno l’appuntamento con le classi del liceo è sempre una scoperta, come quando dopo aver preparato il terreno per l’orto ti accorgi che, ancora prima di seminare o piantare nuove verdure, ci sono già dei germogli che spingono per uscire dalla terra morbida. Però i germogli sono ancora troppo piccoli per farsi scoprire e allora tocca decidere se fare spazio per le piantine di pomodoro coltivate in serra o se lasciarsi sorprendere. Inutile dire che la curiosità, almeno a Chiasso Letteraria, vince sempre.
Il vero protagonista dell’incontro con Meacci è stato il cinghiale, così ci raccontano i ragazzi e le ragazze. “Il cinghiale che uccise Liberty Valance” (Minimum Fax, 2016; Premio Lo Straniero e finalista nella cinquina del Premio Strega) è un romanzo ambientato in un paesino inventato, al confine tra la Toscana e l’Umbria, che si chiama Corsignano. Allievo del linguista Luca Serianni, Giordano Meacci dà voce all’animale per raccontare l’umano. Un’operazione comune a diverse storie transitate per Chiasso Letteraria, come Soya The Cow: travasamento di un corpo umano in un corpo animale. Tuttavia, ci tiene a precisare Meacci, il cinghiale Apperbohr non è antropomorfizzato, è un cinghiale con le sue caratteristiche: ha i suoi tempi di apprendimento e anche i suoi tempi di concentrazione, possiede una propria visione del mondo e – a differenza dell’essere umano – non sa che il tempo esiste e nemmeno che prima o poi tutti moriamo. Costruito come un romanzo di formazione linguistica, il libro ha richiesto perfino l’invenzione del “cinghialese” per indagare quali possono essere i rischi, i disagi o le scoperte di un cinghiale che impara un nuovo linguaggio.
«L’arte, la letteratura, ti fanno intuire ciò che non riesci a comprendere, ti spostano, ti perturbano. De André diceva che “un uomo senza amore è come un cinghiale laureato in fisica”». Questo è il mandato della letteratura: dare forma a ciò che puoi solo intuire, e Giordano Meacci, la forma, la ricerca anche in una partitura visiva e musicale, che gli viene dalla sceneggiatura (perché oltre a essere scrittore e saggista, è anche sceneggiatore).
Meacci, durante l’incontro con il pubblico e con le classi, ha sollevato tante possibilità, ha tracciato delle vie, ci ha lasciati con quella sensazione che lui stesso ha provato a descrivere parlando di “intuizione”: un senso di spaesamento – che parafrasando le sue parole – è una sensazione quasi di stordimento che se si fonde con il qui e ora, crea un déjà vu che accade solo nelle pagine più belle.