di Elisabeth Sassi
La dissidenza dei cuori non poteva non coinvolgere anche i lettori e le lettrici più giovani, così venerdì 12 maggio le classi di terza e quarta media di Chiasso hanno accolto Francesco D’Adamo, che ama definirsi uno scrittore per «adulti che hanno provvisoriamente quattordici, sedici anni». Partendo dalla lettura svolta in classe del romanzo Antigone sta nell’ultimo banco (Giunti, 2019), i ragazzi e le ragazze di quarta hanno realizzato una mostra, esposta tra i corridoi della scuola, che raccoglie sotto forma d’installazioni artistiche diverse sagome, bidimensionali e colorate, che rappresentano Jo la Peste, il ragazzo e il popolo del fiume, gli zombie, Cat Fly. Le silhouette sono state decorate con frasi e immagini che evocano i passaggi del libro che hanno risuonato maggiormente dentro di loro.
Antigone sta nell’ultimo banco è un romanzo «complesso nei contenuti e nella struttura» che prova a raccontare la realtà del mondo contemporaneo; è un libro contro il razzismo, i pregiudizi, il conformismo e il nazionalismo. La vicenda di finzione nasce nella realtà – da un fatto di cronaca racconta D’Adamo agli allievi e alle allieve: «sono partito da poche righe prese da un quotidiano, che riportava la notizia di questo ragazzo, un bracciante, ritrovato senza documenti e morto per la fatica. Dopo che il sindaco del comune si è rifiutato di dargli sepoltura, i cittadini hanno organizzato una colletta cosicché, dopo alcuni giorni, hanno potuto seppellirlo e donargli una lapide che recita Al Dio che tutti ci conosce». Il ragazzo del fiume e il suo popolo, quindi, rappresentano «tutti quei migranti sfruttati e costretti a vivere in condizioni di semi schiavitù in quella che è la realtà delle campagne italiane ancora oggi». I cittadini e le cittadine, come la protagonista del romanzo, Jo la Peste – vivace e anticonformista – incarnano il ruolo di una moderna Antigone «che si ribella alle leggi di Tebe, l’eroina che sfida la morte per dare sepoltura al fratello». Inoltre, guidate anche dal testo di Sofocle, le classi delle scuole medie di Chiasso (come anche le classi all’interno del romanzo, le quali stanno per mettere in scena la tragedia di Antigone come saggio di fine anno) hanno realizzato un “memory”, con il quale non solo hanno instaurato un dialogo con l’autore ponendogli diverse domande, ma hanno anche esposto i passaggi del libro che hanno acceso maggiormente il loro interesse, individuando i collegamenti tra le due opere: una classica e l’altra contemporanea.
Intervista dopo l’incontro tra le quarte e Francesco D’Adamo:
Durante l’incontro di oggi si è parlato spesso di coraggio e di anticonformismo. Nel suo romanzo invita i giovani e le giovani a non intraprendere la via acritica degli zombie; in questo senso ho apprezzato molto la domanda, anche un po’ sfacciata, di un ragazzo che le ha chiesto “lei sa cos’è il cùscus?” (dal berbero: kuskus). Possiamo dire che il suo invito a «far sentire la propria voce» sia stato accolto?
Francesco D’Adamo: Io ho citato il cùscus quando stavo parlando di questa radice del razzismo, che poi è il conformismo, la paura dello straniero, la paura del diverso, la paura di qualunque cosa ti sposta da quelle che sono le tue convinzioni, le tue abitudini. C’è chi ha paura della diversità sempre e comunque, e finisce con l’aver paura non solo del colore della pelle, dell’orientamento sessuale, degli orientamenti religiosi, ma anche con l’aver paura del negozio di kebab sotto casa e quindi c’è questo rinchiudersi sempre di più nel proprio piccolo mondo per cui si finisce per diventare nemici anche di chi vive nel paese a cinque minuti da casa tua. Questo è il fenomeno al quale, secondo me, stiamo proprio assistendo in Europa e nel mondo ormai da tanti anni: il riesplodere dei nazionalismi esasperati che sono poi la radice ideologica del razzismo, del qualunquismo che poi porta ai regimi totalitari, a quello che è successo nel secolo scorso negli anni Trenta e negli anni Quaranta. Allora, quel ragazzo ha sentito nominare il cùscus, evidentemente non lo conosceva neanche lui e mi ha chiesto: “che cos’è il cùscus”.
Io credo che il ragazzo sapesse cos’è il cùscus; ho avuto l’impressione che volesse metterla alla prova. In fondo la bellezza di questa cittadina di confine, Chiasso, è che la diversità di culture non dev’essere evocata ma è già una realtà molto ricca e presente.
Francesco D’Adamo: Ah, quindi lo conosceva e ha voluto vedere se lo conoscevo anch’io? Può anche darsi. Anch’io mi sono detto: “come mai non lo conosce”, perché è un piatto diffuso in tutti i paesi arabi, in buona parte dell’Africa. (Ride). Sì, probabilmente quel ragazzo voleva testare se io dicevo la verità o se stavo raccontando una storia.
Allievo (non viene identificato perché minorenne): Io in quel momento non ho voluto provocare il caro signore, ero curioso, gli ho voluto chiedere cos’è il cùscus perché se lui parla di vari temi devo pur capire se sa di cosa parla, così io potevo capire meglio. Ho visto come ha risposto, appassionante.
Quando ci si sente coinvolti e coinvolte certamente nasce anche la passione verso i temi. I docenti e le docenti hanno cercato di valorizzare anche le vostre storie personali durante la creazione di questo progetto e l’allestimento della mostra? Lo domando perché ai miei tempi, parafrasando il titolo di un libro di Nadeesha Uyangoda, ero l’unica persona razzializzata della classe, perciò, forse era più difficile valorizzare le diversità, ma oggi invece?
Allievo: Io è da un anno che sono alla scuola di Chiasso, con le mie maestre ho un rapporto buonissimo, che è una delle differenze più grandi tra Zurigo e Chiasso.
Sabrina Canali (docente): Se un ragazzo ha voglia di raccontare la sua storia trova sempre lo spazio e il modo di farlo sia con me che con i miei colleghi, magari non è stato messo al centro dell’attenzione per questo lavoro, ma perché si rispetta molto anche il desiderio individuale di raccontare o meno qualcosa, però lo spazio viene offerto.
Durante la presentazione dei lavori mi hanno colpita due sagome in particolare, quelle di un ragazzo e di una ragazza che si tengono per mano, le uniche due raffigurazioni ad avere un volto: gli occhi, il naso e la bocca. I ragazzi e le ragazze che hanno realizzato le due figure hanno detto di aver scelto di rappresentarle con la pelle e gli abiti bianchi perché «il bianco è il colore della purezza». Uno dei grandi temi che si cerca di indagare nella società contemporanea è il razzismo interiorizzato anche da parte delle persone razzializzate, lei cosa ne pensa?
Francesco D’Adamo: Noi dobbiamo fare i conti con un linguaggio, con delle immagini che da sempre sono state calibrate sul nostro essere bianchi ed europei, per cui anche involontariamente se noi pensiamo al colore della purezza, ovviamente è il bianco. Queste sono cose che abbiamo dentro nel profondo perché da sempre è così. Io sono contrario all’eccesso del politicamente corretto, all’abbattere le statue, al cancellare: con la storia si fa i conti, non tirando giù le statue e così via. Però c’è sicuramente anche un lavoro da fare a livello di linguaggio e a livello di concetti mentali. Noi siamo abituati, ovviamente, a vedere il mondo attraverso gli occhi di noi bianchi occidentali, però il mondo sta diventando tutt’altro, fortunatamente c’è questo grande miscuglio di lingue, di religioni, di culture, di colori; anche se non ci siamo ancora abituati. Personalmente, io non ho fatto un collegamento del genere, cioè “li hanno fatti bianchi e puri quindi c’è un fondo razzista”. Sono degli stereotipi che applichiamo in automatico, perché non abbiamo ancora del tutto interiorizzato questa cosa, non siamo ancora abituati a rifletterci fino infondo.
L’invito che però è stato fatto ai ragazzi e alle ragazze di oggi è quello di riflettere, di non imboccare la rassicurante via del conformismo. Francesco D’Adamo ha proposto alle classi un grande dilemma: è sempre giusto obbedire alle leggi? Sono spunti di riflessione importanti, come ti ha influenzato l’incontro con l’autore e cosa ti ha lasciato?
Allievo: Mi piaceva il modo in cui lui ci parlava, è un uomo molto aperto e quando gli chiedevi qualcosa ti rispondeva bene, non era una risposta secca, ha spiegato le cose bene e mi è piaciuto tanto che è venuto da noi a raccontarci delle sue esperienze.
Per concludere, il tema di quest’anno è la dissidenza, intesa come via nonviolenta di opposizione consapevole. Oggi si è parlato tanto anche di ribellione. Cosa augura a questi ragazzi e ragazze?
Francesco D’Adamo: Io auguro con tutto il cuore a questi ragazzi di essere dei ribelli, perché essere ribelli è un modo straordinario per dare un senso alla propria giovinezza e alla propria vita. Se non sei ribelle, se non sei anticonformista, se non sei curioso, se non sei aperto e se non sei vicino agli altri quando hai diciotto anni, allora quando? Un ragazzo dovrebbe essere per natura antirazzista, dovrebbe essere per natura vicino a tutti i ragazzi del mondo e per natura non dovrebbe conoscere limiti o confini. Ragazzi siate ribelli! Uno, perché secondo me così realizzate la vostra vita, due, perché c’è bisogno di ribellioni, perché siamo giunti a una serie di punti di svolta dove: o voi prendete in mano la situazione oppure c’è il pericolo che ancora una volta tornino i regimi totalitari, come accade in tanti paesi del mondo. E poi ci sono le guerre, c’è un pianeta che sta finendo per esaurimento fisico e nervoso: ragazzi, è una cosa che dovete prendere in mano voi, ma in maniera molto, molto decisa. E purtroppo questa cosa ancora non si vede, lo ricordavo prima: com’è possibile che negli ultimi mesi le piazze non fossero piene di ragazzi, di donne imbestialite per questa discriminazione incredibile dove, in alcuni paesi – rischi la galera, rischi la vita – solo perché ti metti addosso una gonna colorata. Ma i problemi ci sono anche nei paesi occidentali, ci sono anche in Italia, ci sono dappertutto e allora io non mi capacito di come non ci siano le piazze piene di ragazze che si ribellano e che prendono in mano il loro destino e anche di ragazzi ovviamente: non è che i ragazzi possono non andare in piazza a manifestare per i diritti delle donne iraniane.