di Elisabeth Sassi
Entrare nel porto di Dédicace è come mettere piede per la prima volta in terra straniera. Ai margini di questa terra troviamo una guida che ci introduce a un esperimento danzante: prima di varcare la tenda nera, che svelerà tutto un altro universo, bisogna scegliere una colonna sonora, un brano da dedicare a chi porteremo con noi in questo viaggio oppure, semplicemente, da dedicarci.
Prosegue così la sedicesima edizione di ChiassoLetteraria, sede di incontri tra la letteratura e le arti. La performance di danza proposta da Romane Peytavin e Pierre Piton (fondatori della compagnia La PP) è pura improvvisazione. Una sfida non apertamente dichiarata, quella che avviene tra i danzatori e il pubblico, che si ritrova inaspettatamente dramaturg di questo spettacolo in divenire durato due ore. Lo scambio di energie e creatività che viene concesso a ogni persona però dura solo pochi minuti, il tempo di un brano che solitamente ascoltiamo con affetto, quando facciamo l’amore, oppure che libera un dolore, mitiga la rabbia o che semplicemente abbiamo scelto con il sadico intento di spingere Romane e Pierre al limite. Quando finalmente ci si accosta alla scatola buia, si muovono i primi passi titubanti all’interno di uno spazio che non si conosce, che non possiamo vedere, ma solo istintivamente annusare, costretti ad abbandonare subito quella sicurezza iniziale. Dove si trovano i ballerini? Ci saranno delle sedie dove mettersi comodi? All’improvviso le luci si accendono e gli sguardi si incontrano per la prima volta. I corpi riempiono ogni angolo, anche se lo spazio della Biennale dell’immagine potrebbe contenerne il doppio, il triplo, ancora di più. Gli occhi rifuggono imbarazzati cercando un’ancora d’appiglio. Le spalle contro la parete sembrano essere l’unico conforto. Penso alla Babilonia rievocata in queste due ore di performance, le molte lingue e linguaggi sconosciuti schiusi dalle canzoni scelte e dalle interazioni avvenute tra gli estranei. Una mescolanza che potrà fallire o riuscire solo se decidiamo di restare in quel senso di disagio, smarrimento e timore. I ballerini girano intorno per pochi secondi, come in gabbia, prendono tempo, abbandonano le suggestioni vissute dal brano che ha risuonato poco prima e si preparano ad abbandonarsi alle note nuove. Appare chiaro, quindi, che più che dramaturg anche noi siamo attori e attrici abbandonate alla corrente verso l’unica meta possibile. Il patto è stipulato, una collaborazione è necessaria. Una voce straniera si mescola infine agli strumenti nutrendo i gesti e i movimenti, prima incerti, ora ritmicamente e istintivamente in armonia o volutamente in contrasto con la musica. A questo punto lo sguardo è pronto ad accogliere, a sostenerne un altro, le spalle si staccano dalla parete e avviene il contatto.
Io ho scelto una ninna nanna persiana, una lingua che non conosco, volevo essere cullata prima di proseguire nel mio viaggio immobile dentro ChiassoLetteraria, fatto di persone e delle loro storie.