Di Arianna Limoncello
Il consueto appuntamento con Alice di Rete Due ha visto quest’anno come ospiti Giorgia Tolfo e Vincenzo Latronico, due giovani autori espatriati rispettivamente a Londra e a Berlino che hanno fatto della loro esperienza all’estero la tematica dei loro applauditissimi romanzi. Sradicamento, ricerca della propria identità e dinamiche relazionali rappresentano il fil rouge che si dipana attraverso le loro narrazioni. Il libro di Giorgia Tolfo, Wild Swimming, è stato anche il libro scelto dal Bookclub di ChiassoLetteraria come lettura anticipatoria del festival.
Wild Swimming è un libro autobiografico, che procede per frammenti illustrando una mappatura sentimentale di una iconica, caotica Londra nella quale una giovane Giorgia cerca di fissare dei punti di riferimento, delle pietre miliari nel disordine esistenziale che attraversa. Pietre miliari che si nascondono in luoghi, relazioni e innamoramenti letterari. Giorgia ci insegna a nuotare attraverso l’irresolutezza e la precarietà, attraverso il Wild Swimming che dà titolo all’opera: “l’idea di lasciarti andare alla corrente quando non sei in grado di stabilire coordinate, poi trovi la tua direzione, poi ti lasci andare, a volte nuoti controcorrente. È sentirsi liberi nell’immersione in un luogo non contenuto, per certi versi ignoto”
Una delle mie citazioni preferite dal libro è questa: “A volte mi sembrava che certe cose che avevo fatto nella vita avessero senso solo perché a un certo punto le avevo raccontate.
O forse le avevo fatte per aver qualcosa da raccontare”. Puoi raccontarci della genesi e del processo di scrittura di Wild Swimming?
Era un momento complicato, di disorientamento e di confusione. Stavo finendo un contratto di ricerca, avevo appena interrotto una storia in maniera complicata, ero veramente disorientata. E non sapevo cosa fare: non sapevo se rimanere a Londra o se tornare in Italia dal momento che ero anche in affitto. Era tutto quanto un po’ per aria. E proprio in questa confusione avevo bisogno di punti di riferimento a cui appigliarmi, dal momento che mi sentivo proprio fluttuare e non sapevo in che direzione andare. E quindi ho aperto questo documento sul computer e ho deciso che avrei iniziato a scrivere qualcosa di mio. La sera e nei week-end lasciavo da parte il mio lavoro da ricercatrice e mi dedicavo a questo progetto. Poi è arrivato anche il Covid che mi ha offerto degli spazi in solitaria. Ho iniziato a scrivere una serie di frammenti sapendo che volevo parlare di ciò che sentivo. Ma non sapevo esattamente in che direzione andare, non sapevo con precisione cosa avrei voluto scrivere. Scrivevo questi frammenti che erano dei pezzi di riflessioni sui libri che magari mi avevano toccata, raccontavo delle esperienze con la lingua oppure dei flashback. Ogni frammento era diviso da un asterisco. Scrivevo quindi un giorno un pezzo, il giorno dopo ne scrivevo un altro anche totalmente sconnesso da quello precedente e nel frattempo la mia vita andava avanti. Quando passeggiavo magari mi veniva in mente quello che avevo scritto, mi affioravano alla mente altri pensieri, allora tornavo a casa e li trasponevo in scrittura. La scrittura stessa creava dei collegamenti, mi spingeva poi ad andare a visitare dei determinati luoghi. Si è creata una sorta di comunicazione, un legame bilaterale tra la vita e la scrittura. E mentre succedeva questa cosa, nel frattempo avevo incontrato una persona che ha portato alla creazione di J. e questi frammenti io li raccontavo nella mia vita al di fuori del libro, nella mia vita personale. E in questo processo di contaminazione fra due mondi, quello reale e quello della scrittura, hanno cominciato a delinearsi delle coordinate, delle costellazioni di senso. Mi rendevo conto che c’erano dei temi ricorrenti come il mio rapporto con la lingua, con la traduzione, con l’amore. E tutto questo cominciava in un certo modo a riunirsi. Camminavo molto e la città cominciava a diventare anche una dimensione del libro. È una scrittura di vita e una vita che si è scritta: le cose che mi succedevano diventavano interessanti per il libro e viceversa le cose che accadevano nel libro mi aprivano gli occhi sulla realtà.
Nella tua risposta hai lanciato diversi spunti: mi riaggancio al tuo rapporto con la lingua e alla riflessione sui vocaboli in inglese disseminati nel romanzo. Come avverti questa frizione tra una lingua che non è la tua lingua madre e il bisogno di esprimere completamente te stessa in tutte le tue sfumature?
Una delle idee che ho avuto all’inizio, mentre scrivevo questo libro, era di intitolarlo “La donna tradotta”, poi ho abbandonato l’idea per Wild Swimming con un’idea di traduzione in mente perché quest’espressione non è perfettamente traducibile in italiano. Manteneva un po’ quella sensazione di riconoscere quello di cui stiamo parlando, ma senza sapere completamente se è la cosa giusta. Questa sorta di titubanza che si ha spesso nei confronti di una lingua che non è la nostra madrelingua, questa sensazione di sapere cosa si sta dicendo oppure intuire quello che l’altro ci sta comunicando, ma con una forma di esitazione. Questa per me è l’esperienza del vivere tra due lingue: l’essere sicura di me quando sono nella mia lingua e l’essere titubante quando parlo nell’altra lingua. Mi muovo tra due stati emotivi diversi. Volevo riflettere questa sorta di pluralità, di ventaglio di emozioni che si provano costantemente nel parlare più lingue, una pluralità che è allo stesso tempo una barriera e una ricchezza. In certi momenti sfocia anche nella frustrazione perché si vorrebbe essere molto più liberi di esprimersi e invece ci si scontra anche col desiderio di usare un’altra lingua per esprimere un certo concetto. Si crea una lingua quasi intermedia.
Un’altra grande pluralità in Wild Swimming è rappresentata dai numerosi riferimenti letterari che costellano il libro. Ce ne sono alcuni a cui ti senti maggiormente legata e che parlano di te?
Ci sono tanti libri a cui sono legata. Mrs. Dalloway è un libro che ho amato moltissimo e Sally è un personaggio che ho riscoperto e mi ha illuminato, perché mi ha fatto ripensare molto a come il processo di lettura cambia nel tempo anche in base a come cambiamo noi come individui. Poi un’autrice a cui sono molto legata, benché la sua esperienza di vita così come la sua estrazione sociale siano molto diverse da me, ovvero Annie Ernaux. Mi piace il suo metodo di indagine interiore, di costante ricerca e la sua capacità di raccontare una vita irriducibile ad un singolo testo. Un altro testo a cui sono particolarmente legata è Camere separate di Tondelli: quello è uno dei libri che mi ha formata per quanto riguarda la concezione dell’amore, nell’immagine di questa unione separata.
Il tuo libro è bipartito e presenta una prima parte ad ampio respiro e una seconda parte in proporzione molto più ridotta. Questa struttura ricalca la necessità di passare attraverso il caos, di navigarlo in maniera approfondita, per trovare una soluzione? Per te la ricerca è più importante del punto di arrivo?
La prima parte è il racconto di questo disordine che si sposta nel tempo e nello spazio, tutti i frammenti sono più brevi, la narrazione è meno lineare perché volevo trasmettere l’idea di questo muoversi senza direzione. E poi ad un certo punto succedono una serie di cose, come la possibilità della casa, che danno una direzione. Nel momento in cui capisce la direzione, la Giorgia del libro inizia a nuotare in una direzione precisa, tutto si allunga. La forma diventa di nuovo un modo per riflettere tematicamente. Amo molto l’idea di “tendere a”. Seguire un desiderio, tendere ad una situazione ideale con questa idea di mantenere quello scarto rispetto al raggiungimento di quella data situazione. Questo scarto mantiene il desiderio sempre costante. Quello del ritrovamento della casa è stato un milestone, un punto di approdo, però non è certo quello d’arrivo. I punti di approdo possono essere a loro volta un punto di partenza per qualcosa di nuovo. Altrimenti il desiderio svanisce.
Wild Swimming è stato il libro scelto per la nostra prima edizione del Boocklub di ChiassoLetteraria. Il tuo rapporto con la lettura è cambiato da quando sei scrittrice?
Che bella domanda! Forse si. Mi rendo conto che la mia è una lettura che non fa solo attenzione alle emozioni che il libro mi suscita ma, a volte, tendo ad uscire dal mio ruolo di lettrice e cerco di capire come sono state create le scene, com’è stata la costruzione, cercando di andare un po’ dietro le quinte di quello che sto leggendo. Però mi piace anche poi tornare indietro e stare nel pubblico perché la passione per la lettura richiede anche solo di stare lì ad osservare. Farsi troppe domande sulla costruzione del libro rischia di ridurre il piacere della lettura e io adoro anche essere stupita da quello leggo. La mia esperienza come scrittrice mi ha sicuramente resa più consapevole anche di certi trucchi del mestiere ma difendo la necessità di mantenere una forma di ingenuità nella lettura, una sorta di incanto, di innocenza. Quindi si la mia esperienza di scrittura ha influenzato quella di lettura, l’ha modificata ma senza stravolgerla.