Di Arianna Limoncello
Scegli ancora la fuga
la negazione del problema
ottundi il disagio con l’azione
forse timorosa
di immergerti nell’abisso
degli anni delle ansie – giorni e giorni di alghe
e melma mai rischiarati –
o forse semplicemente incapace
Uscito pochi giorni fa per Gabriele Capelli Editore, Cemento e vento è il primo, potentissimo, romanzo in versi di Noè Albergati. L’autore frequentava già l’ambito della poesia: la sua prima silloge Dal tramonto all’alba, pubblicato da Alla chiara fonte, risale al 2019. Il suo ultimo libro si discosta però completamente dal suo esordio, per tematiche, per struttura e per andamento narrativo. Il romanzo in versi di Albergati affronta la tematica della depressione dell’ex moglie dell’autore, un percorso di devastazione emotiva che la conduce, nel giro di pochi mesi, a scegliere di togliersi la vita alla diga della Verzasca. L’io narrante costruisce un racconto, scandito mese dopo mese, dapprima dell’insorgenza della malattia e dell’insinuarsi della depressione nel rapporto di coppia, rendendo molto complessa ogni forma di comunicazione, per poi concentrarsi, nella seconda parte, sul suo percorso di elaborazione del lutto e la successiva rinascita. Un io narrante che si mette completamente a nudo e ci restituisce, in poco più di un centinaio di pagine molto intense, l’evoluzione dei suoi pensieri e il suo sbocciare emotivo, dipanandosi tra le schegge di un “Noi” con cui ricostruire il proprio “Io” per riapprodare, infine, ad un “Noi” tutto nuovo. Impossibile non amarlo, questo io narrante.
Abbiamo incontrato Noè Albergati a ChiassoLetteraria e, appena reduci dal viaggio interiore raccontato nelle sue pagine, gli abbiamo posto qualche domanda. Leggerete le sue risposte alternate ad alcuni estratti del romanzo, in quanto mai come in Cemento e vento, narratore e autore sono così intrecciati.
Come mai hai scelto la forma del romanzo in versi per questo libro? La poesia è la forma testuale più connessa al tuo mondo interiore?
La poesia è nettamente la forma più connessa al mio mondo interiore: è lo strumento attraverso il quale rifletto su cose della realtà che mi circondano, che mi disturbano, che mi interrogano e mi inquietano. Qualsiasi cosa che muove qualcosa all’interno, tendenzialmente se non riesco a capirla subito, è la poesia lo strumento primo a cui mi rivolgo. Riguardo al romanzo in versi, se avessi scritto questo testo in prosa avrei dovuto essere troppo esplicito, e forse avrebbe perso intensità e magari anche efficacia, perché quando si esplicita troppo un elemento, esso perde forza. La possibilità di tenere invece alcuni non detti, alcune lesioni, alcune forme più brevi come permette proprio la poesia, mi ha invece aiutato a mantenere il racconto più intenso ma anche più universale. Non compaiono i nomi apposta, rimane volutamente vaga in modo da permettere ad ognuno di approcciarsi col proprio vissuto ed eventuali propri lutti o persone vicine che sono state male.
In ogni suicidio siamo tutti coinvolti
quei futuri rigettati
sono nello stesso tempo dei nostri.
Tu alla fine dici che il suicidio è qualcosa che riguarda tutti. Quando e come hai capito che volevi mettere la tua storia personale a disposizione di un pubblico?
È avvenuto tutto un po’ per caso; mi avevano invitato a Poschiavo perché avevo pubblicato alcuni versi per un progetto e quindi poi, alla fine di tutto il percorso della stagione a cui mi avevano invitato a partecipare, hanno invitato alcuni poeti per leggere dei testi. Quando mi hanno invitato, era già capitato il suicidio e avevo già scritto i primi frammenti, anche se era tutto molto breve e in fieri. E quando mi hanno chiesto di partecipare, mi sono detto che non aveva senso sul momento leggere le mie vecchie poesie, non avrebbero significato niente. Ho deciso quindi di leggere i frammenti che al momento erano l’unica cosa davvero significativa per me. Ho avuto un riscontro del pubblico molto forte, la gente mi si avvicinava per parlare della propria esperienza portando il caso di amici o conoscenti che si erano tolti la vita o avevano affrontato la depressione. A quel punto ho capito l’importanza che una storia del genere avrebbe potuto avere per molte persone. E quindi ho deciso che se fosse uscito bene, se fossi riuscito a scriverlo e portarlo avanti fino alla fine, a quel punto avrebbe potuto essere una buona idea provare a pubblicarlo. Avevo portato i frammenti sul mese di marzo che erano i primi che avevo scritto: nella scrittura non ho proceduto in ordine cronologico ma un po’ a macchia di leopardo, aggiungevo pezzi man mano e poi, piano piano, si è fuso tutto assieme. Il primo frammento l’ho iniziato a scrivere un mese dopo il suicidio anche come scrittura terapeutica.
In questo percorso hai avuto dei particolari riferimenti letterari che ti hanno accompagnato e con cui hai dialogato?
Curiosamente solo in un secondo momento. Ho scritto questo romanzo in versi molto spontaneamente, è uscito già con un certo linguaggio – tra l’altro molto lontano dal mio primo libro – quindi è stata una sorpresa anche per me la scoperta di questa lingua specifica che non sapevo di padroneggiare. Solo quando ho cominciato a fare una revisione, ho deciso di documentarmi sul tema e di leggere le opere di altri che avevano affrontato la mia stessa situazione. Solo a quel punto ho preso qualche spunto. Da una parte mi hanno accompagnato altri romanzi in versi o altre forme di poesia più lunga e narrativa, con cui mi sono confrontato per vedere se vi erano altre strutture ritmiche o formule di impaginazione e di gestione dello spazio bianco che potessero aiutarmi. Ho letto il romanzo di Matteo B. Bianchi, La vita di chi resta, che parla del suicidio del suo ex partner. Ho letto anche L’anno del pensiero magico di Joan Didion. Quindi ho approcciato una prosa che parlasse della tematica, anche per riconoscere alcune cose che anch’io avevo provato o a cui non avevo fatto caso, che sono riaffiorate attraverso la lettura. Ho letto anche alcuni testi francesi sul tema della morte che però a livello di contenuto non mi hanno convinto molto ma che mi hanno offerto alcune strategie formali per il mio testo.
Mi accorgo che è difficile tacerla
– come un rizoma dilagante si è espansa
per sette anni nel mio vissuto
radicata
nella mia esperienza –
non mi dà fastidio, nemmeno a te
quasi parlassimo di una vecchia amica
non vista da tempo
a te resta la curiosità
la voglia di conoscermi attraverso il suo ricordo
per me è rendere il suo nome
sempre meno affilato
In questo libro si assiste ad un cambiamento molto forte dell’io narrante, un io che si mette completamente a nudo e non risparmia niente al lettore, raccontando in maniera molto diretta le emozioni e i pensieri che lo accompagnano in tutto il processo di elaborazione del lutto e della successiva rinascita. Questo cambiamento si pone molto in contrasto rispetto alla resistenza dell’altra protagonista del romanzo di fronte al cambiamento, alla difficoltà di accettazione. Cosa ci puoi dire di questo?
Forse più che la contrapposizione con il rifiuto del cambiamento da parte della protagonista, è un problema che avevo io perché il vero cambiamento è che io ho affrontato tutta la vicenda della depressione senza cambiare. E la cosa che a posteriori mi sono accorto mi avesse fatto stare più male era l’incapacità di riuscire a comunicare. Se prima ci intendevamo a meraviglia pur essendo un po’ agli antipodi – lei estremamente emotiva e io molto razionale – trovavamo il terreno comune di dialogo. Nel momento in cui arriva la depressione, lei cambia e le cose che prima avevano senso per lei improvvisamente non lo avevano più, ma io non avevo il suo stesso linguaggio emotivo quindi mi trovavo nell’impossibilità di comunicare. Ho continuato per mesi a proporre soluzioni razionali che chiaramente non potevano arrivare a lei. Quando è arrivato il suicidio io mi sono sentito come se avessi sbagliato qualcosa. Dopo il suicidio ho iniziato un percorso di accompagnamento psicologico e, se la prima fase è stata di rielaborazione del lutto, abbastanza presto si è affiancata l’esigenza di riuscire a far emergere di più il lato emotivo senza subito controllarlo e sedarlo con la razionalità. E quindi il libro ha rappresentato anche questo per me: è stato un obbligarmi a dire le cose, a comunicarle agli altri. Io mi sono sentito molto solo perché non volevo parlare agli altri, ed è stata una mia colpa, perché gli altri erano apertissimi e molto disponibili, e lì mi sono accorto che man mano che procedeva il tempo riuscivo a dire più cose di prima e le inserivo anche nel libro. Quindi si è creata una contrapposizione tra l’io narrante all’inizio del libro e quello alla fine del libro, con tutto il suo percorso evolutivo nel mezzo.
Cemento e vento è un libro imperdibile da avere nella propria libreria: dei versi contro cui sbattere e, annotazione dopo annotazione – perché sì, vi accorgerete di quante parti sottolineerete in questo romanzo in versi – farci pace.
Non mi spaventano più queste trafitture di oscurità
accolgo le fitte – anche loro sono me –
scemano