Viaggi ed eroi imperfetti – Incontro con Wu Ming 4

Ho sfilato l’eroe e ne ho fatto un fantasma

Sabato 10 maggio, alle ore 13.30, al Cinema Excelsior, lo scrittore Wu Ming 4 ha dialogato con Benedicta Froelich, scrittrice e giornalista culturale. Ad aprire l’incontro, un amore e una fatica: l’amore per la cultura anglosassone, che accomuna i due scrittori, e la difficoltà a muoversi nel mondo letterario quando le preferenze esulano dalla cultura d’origine; ci si scontra con stereotipi e pregiudizi, e si sfugge a facili definizioni, diventando inclassificabili. 

Per Wu Ming 4 l’approdo alla cultura anglosassone ha radici profonde, fatte di viaggi: un viaggio reale, a 10 anni, il primo in Inghilterra, e quelli attraverso la letteratura: Conrad, la narrativa di viaggio, Tolkien… e da lì non ho più smesso. La cultura anglosassone resta l’ispirazione di tutte le sue opere, dal primo lavoro da solista Stella del mattino (Einaudi, 2008), all’ultimo romanzo La vera storia della banda Hood (Bompiani, 2024), ai saggi divulgativi L’eroe imperfetto (Bompiani, 2010) e Difendere la Terra di Mezzo (Odoya, 2013).

Credo che molti autori fantasy imitino Tolkien, cosa che io reputo impossibile. Credo che sia più interessante recuperare il suo lavoro sugli archetipi e utilizzarli in storie diverse.

Tra le operazioni più interessanti di Tolkien con cui Wu Ming 4 entra in dialogo, c’è il lavoro sull’archetipo dell’eroe. Tolkien, nel suo capolavoro Il signore degli anelli, sovverte il paradigma, scegliendo Frodo, un hobbit reticente, riluttante, fragile sia fisicamente che psicologicamente. Un eroe che tradisce le aspettative proprie dei canoni classici, ma non solo: che al culmine della vicenda, nelle viscere del Monte Fato, fallisce. Ne La vera storia della banda Hood, la sua ultima fatica, Wu Ming 4 conclude la sua lunga riflessione sull’eroismo, con cui si è interrogato sulla rilevanza attuale e sull’eredità di certi modelli. Quella di Robin Hood è una figura antica, ricorda lo scrittore, che ha radici nel Medioevo più profondo, tramandata dalla memoria orale prima, e fissata in ballate, racconti, romanzi e schermi poi. Ne La vera storia della banda Hood, però, l’eroe svanisce: non c’è mai stato, non esiste. Robin, in realtà, è lo spirito della foresta, è l’idea che dà speranza. Dice Wu Ming ho sfilato un eroe e ne ho fatto un fantasma. Tolto l’eroe, sottolinea Benedicta Froelich, quello che resta è il potere delle storie.

E il potere delle storie, quelle potenti, come quelle dell’infanzia, che con le loro cicatrici segnano un passaggio, è raccontato da Wu Ming 4 anche ne Il piccolo regno. Una storia d’estate (Bompiani, 2016). L’autore ne ha parlato venerdì 9 maggio, allo Spazio Officina, con alcuni studenti.

WU MING 4, Il piccolo regno. Una storia d’estate.

Oggi che sono tutti bianchi, quei capelli, e tanto più radi, la presbiopia della memoria seleziona on maggior nitidezza il passato remoto che non quello prossimo, il secolo scorso piuttosto che quello appena cominciato. Si finisce dunque col ricordare meglio gli eventi della propria infanzia che quelli della vita adulta. Si torna all’origine prima di divenatre anche noi i ricordi di qualcuno, una fotografia nell’album di famiglia. Il presentimento è che per elaborare l’ultimo lutto, il nostro, dobbiamo essere capaci di fare la pace con i bambini che lasciammo nel giardino d’infanzia senza voltarci indietro.

Che cosa resta al protagonista del Piccolo regno, la voce narrante del romanzo, dell’eroe? E possibile metterlo in relazione con il modello dell’eroe-Frodo, di cui ci hai raccontato poco fa?

Per certi versi sì, perché innanzitutto è un eroe bambino. Il protagonista del piccolo regno quando parla, racconta la sua storia, la storia della sua infanzia. Anche se all’inizio del romanzo è anziano la maggior parte del tempo della narrazione è un bambino, un ragazzino, e quindi in realtà è un eroe debole per natura, che se la deve cavare con altre armi e altri strumenti: l’empatia, la furbizia, la saggezza etc. Quindi per certi versi sì, è assolutamente un eroe imperfetto, un eroe debole. Ha questo vantaggio di essere un po’ al centro della narrazione, si segue il suo racconto, che è quello che prevale. Però è anche quello del gruppo dei ragazzini che incarna la figura di quello un pochino più saggio, si è ritagliato questo ruolo.

Io ragiono dell’eroe in termini narrativi, quali siano le ricadute della narrativa come fonte di ispirazione su di noi è un altro paio di maniche. Credo che, quando si raccontino delle storie, queste storie qualcosa ispirano, senza dubbio. Fare una riflessione su una tipologia di eroe diversa da quella più canonica, più bellica, sicuramente ha un significato. Come affermare, ad esempio, che esista un altro tipo di eroismo, quello femminile, che non è quello al maschile, a prescindere che venga incarnato da maschio e femmina. C’è un altro modo anche di essere eroi; che non è quello del girl power marwelliano, della super eroina che compete con il super eroe sullo stesso terreno. C’è un eroismo femminile che ha una natura diversa, che si manifesta in un altra maniera e c’è dai tempi di Antigone.

In questo testo ci sono molti spazi bianchi, dei vuoti, che chi legge è chiamato a riempire, forse proprio con la propria infanzia.

Ci sono tanti non detti, cose non spiegate, lasciate lì. Questo è importante dal mio punto di vista nel senso che non credo che la narrativa debba raccontare tutto. Lavorare sugli spazi bianchi è importante, lasciare spazio all’immaginazione di chi legge è importante. Diceva Joseph Conrad che si scrive sempre metà di un libro. Dell’altra metà  deve occuparsi il lettore. L’ho sempre trovata una frase di ispirazione. Pensare che qualcosa deve fare chi legge, che si deve lasciargli uno spazio per la sua immaginazione.

Lei  ha definito questo libro un finto libro per ragazzi. Però i ragazzi lo leggono, lo amano e lavorano sulla seconda metà. C’è un riscontro particolare da parte dei più giovani?

Sì, senza dubbio. Io con una battuta l’ho definito un falso libro per ragazzi perché in realtà sono le memorie di un anziano che ricorda di quando era ragazzo. Quindi forse è un romanzo per adulti che hanno questo ricordo. Però è vero che ho incontrato in questi anni tante scuole, delle scuole medie prevalentemente, ed è un pubblico che normalmente non si incontra alle presentazioni di Wu Ming e che ha delle domande e delle questioni diverse. Una delle domande che fanno più spesso è perché non hai raccontato tutto. Perché probabilmente sono abituati a un tipo di narrazione molto immediato, molto diretto, molto servito; in cui alla fine ci vuole la spiegazione di tutto. Il fatto che io non la dia o che lascio un margine di ambiguità  un po’ li spiazza. Bene, per me è un segnale positivo; anche che una cosa li colpisca e li porti a chiedersi “perché non hai detto come si chiama il protagonista? Che cosa è successo a Ariadne quando è stata portata via? Perché deve morire questo personaggio?” Le discussioni che si aprono con i ragazzi sono sempre interessanti.