Di Arianna Limoncello
Siamo entrati nel vivo della 18esima edizione di ChiassoLetteraria e i Pensieri selvaggi aleggiano in tutta la loro potenza negli spazi dedicati al Festival.
Venerdì sera conosciamo un personaggio eclettico, che ha fatto dei Pensieri selvaggi il comune denominatore di tutte le sue sfumature. Si tratta del performer e attivista Daniel Hellmann che ha vestito i panni, per noi di ChiassoLetteraria, del suo alter ego Soya The Cow.
Ma in che senso “il suo alter ego”?
… Andiamo con ordine. Se ricerchiamo il nome Daniel Hellmann, ci stupiremo della poliedricità di questo performer zurighese. Dopo una laurea in filosofia all’università di Zurigo, approda al canto classico come basso-baritono, dando il via ad una florida carriera operistica durata un ventennio. Dal 2012 sceglie di diventare un performer teatrale e comincia a proporre numerosi spettacoli, che vengono ampiamente premiati e riconosciuti. Se digitiamo invece Soya the Cow su Google, ci comparirà un altro personaggio. Soya The Cow (durante lo spettacolo Soya dirà ridendo che Daniel è l’umano al suo servizio, che le prepara le valigie e l’aiuta nell’organizzazione dei suoi viaggi) è una drag cow che, attraverso i suoi spettacoli e le sue performance musicali, tocca le tematiche dei diritti degli animali, dell’attivismo per il clima e del femminismo queer.
Sul suo sito, Soya si presenta attraverso queste affermazioni, che racchiudono appieno la sua essenza:
Is it activism? Is it entertainment? Is it art? Who cares, she makes the world a kinder place.
L’attivismo e l’arte sono infatti due aspetti che convergono nella performance di Soya The Cow. La trasformazione dell’artista nel suo personaggio di drag cow è sinonimo di “una più ampia transizione sociale, economica, ecologica ed etica”. L’intento artistico di Soya the Cow è quello di scardinare i concetti di maschile e femminile, lasciare che la dimensione animale straripi in quella umana e mettere in evidenza le logiche di potere fra specie in un unico, poliedrico personaggio che ha fatto dell’intersezionalità della lotta il suo messaggio politico e artistico. Il suo intento lo grida forte è chiaro: rendere il mondo un posto migliore.
Prima dello spettacolo, abbiamo incontrato Soya per farle alcune domande sul suo attivismo e la performance a cui assisteremo durante la serata.
Puoi spiegare la genesi di Soya The Cow? Come nasce questo personaggio?
Nel 2016 ho iniziato una ricerca per un progetto di danza e di musica sul tema della carne, Requiem for a piece of meat, e nel corso di questa ricerca ho imparato molte cose sull’industria animale e mi sono ritrovato in uno stato di shock. Quando ho scoperto la violenza che percorre la vita di un animale in un allevamento, dalla sua nascita alla morte, una violenza fatta di controllo genetico e sessuale, di condizioni di allevamento disumane e di scelte dettate dall’uomo, il mio mondo è caduto in pezzi perché anch’io prima mangiavo il formaggio ed ero ignaro della portata di questa ferocia. Ho vissuto quindi sentimenti di rabbia e tristezza e proprio in quel momento ho avuto la fortuna di andare a San Francisco grazie ad una borsa della città di Zurigo. In quel contesto ho incontrato molti artisti drag impegnati in proteste contro Trump; ho osservato la loro energia, la loro rabbia, la loro forza e ho desiderato di avere il loro stesso coraggio, questo potere magico delle drag e da lì è nata l’idea di una mucca drag.
Cosa rappresenta la mucca per te? Come mai la scelta è ricaduta su questo animale?
La mucca mi ha sempre affascinato per vari motivi. In quel periodo mia sorella aveva avuto la sua prima bambina e l’allattamento era molto difficile per lei da un punto di vista sia fisico che emotivo e questo mi ha colpito. Mi sono quindi interrogato sull’essere mammifero e sulla possibilità di trovare una solidarietà tra mammiferi. Ho esteso il messaggio femminista dalla donna alla mucche, alla pecora e così via. Inoltre la mucca è un simbolo svizzero. È anche un simbolo della crisi climatica, perché il manzo costituisce ovviamente un grande problema in termini di emissioni e di deforestazione. Infine, da bambino, mi ha sempre colpito la mucca come animale un po’ magico per la sua capacità di mangiare erba e trasformarlo in latte… ma era una mia credenza di bambino. Solo da adulto ho capito che questa è una bugia e che le mucche vengono continuamente messe incinte con la forza e questo è l’unico motivo per cui producono latte.
Per te arte e attivismo sono strettamente legati. Ci puoi spiegare meglio il tuo processo creativo? Come nascono le tue performance?
Sono molto attratto dalle contraddizioni sociali, filosofiche, politiche, fin da quando mi occupavo e creavo delle performance intorno ai diritti dei sex workers. Trovo terreno fertile per le mie riflessioni laddove trovo una tensione. Per esempio, adesso sono stato tre mesi in Brasile e ho fatto una ricerca sulla produzione di soia e le sue conseguenze a livello ecologico e di diritti umani per la popolazione indigena; la maggior parte di questa soia viene data agli animali (galline, pesci, mucche) ed è una cosa che non viene spesso tematizzata. La forma artistica nasce come un side effect, come una conseguenza, perché entro in un’esperienza che mi cambia (come quando ad esempio sono stato a vedere gli allevamenti di maiali). Come umano io cambio attraverso queste esperienze. Durante il lockdown ho lavorato in un santuario per animali che ospita molte bestie di fattoria e in questo posto ho approfittato dell’esperienza di vivere con gli animali, di creare relazioni di amicizia con loro, di percepire la loro tristezza data dalla domesticazione. L’esperienza crea un bisogno di espressione. Molte canzoni che ho scritto sono nate da relazioni di amicizia con animali oppure da notizie che ho letto. La tristezza e la rabbia che provo per gli eventi di cui leggo mi spingono a mettermi al pianoforte e comincio a scrivere le canzoni. La performance nasce quindi dal vissuto. Noto che molti artisti tendono a mostrare il prodotto finale della loro arte, a volte anche il processo, ma contemporaneamente nascondono il messaggio che vi sta alla base, non so se per paura o per convenzione. Per me l’ingiustizia è reale ed è urgente e io non voglio mascherare il mio discorso.
Per un paio di anni hai studiato filosofia. Questo ambito di studi ti ha influenzato in qualche modo?
C’è stato un corso di domande etiche all’inizio e alla fine della vita, in cui abbiamo parlato di eutanasia, di aborto, di diagnosi preimpianto. Queste riflessioni mi hanno portato ad interrogarmi sul tema del consenso, delle scelte dell’umano sul corpo animale…
Il tema del festival è Pensieri selvaggi. Che significato ha il termine selvaggio per te?
Penso che la domesticazione sia un processo estremamente violento sia per gli animali che per gli umani. Quando vediamo i bambini e le loro difficoltà a funzionare in questa società, in questo modello economico… è come se il nostro sistema costringesse gli individui ad adattarsi a lui quando dovrebbe essere il sistema ad adattarsi ai singoli individui a alle loro diversità. Il mio sogno è un processo di de-domesticazione per gli animali ma anche per gli umani, ritrovare l’idea che le cose possano essere differenti, vivere molto più di solidarietà, di azione contro la povertà, di forza collettiva. Il mio intento è quello di produrre una scintilla per attivare l’immaginario selvaggio e la trasformazione di Soya (con tutto il lavoro di trucco e parrucco) vorrei potesse servire a dimostrare che tutti possiamo cambiare.
Dopo questa intervista non vedevamo l’ora di vedere Soya in azione. Nella sera del venerdì di ChiassoLetteraria, la sala Diego Chiesa si è riempita del canto di Soya e del suono della sua tastiera. Nei suoi testi abbiamo ritrovato esattamente tutti i riferimenti presenti nell’intervista e tutta la sua essenza: dalla energica Wake up, scritta in occasione di una protesta a Berlino contro il Ministero dell’Agricoltura, alla più malinconica Levi, dedicata ad un tacchino conosciuto nella sua esperienza al santuario citata nell’intervista e all’amicizia che li aveva legati. Empatia, consenso, volontà di cambiamento sono gli ingredienti dell’arte di Soya The Cow e noi spettatori di ChiassoLetteraria ci uniamo a lei affinché la piccola scintilla di cambiamento che ha acceso possa diventare un fuoco vivo, sempre più grande, sempre più selvaggio e divampare nella società.