Di Rossana Tanzi
La sala si riempie pian piano, il pubblico armato di mascherine prende posto, si abbassano le luci e via, si comincia con una nuova edizione di Chiassoletteraria! L’incontro di mercoledì tra Aline D’Auria, videoartista, e Andrea Staid, antropologo, ha cercato di rispondere ad una semplice domanda: il nostro Pianeta Proibito sarà abitabile?
Christelle Pagnamenta Campana ha moderato l’incontro, portandoci in viaggio tra due mondi diversi. Da un lato quello di We are all going home, installazione multimediale curata da Aline D’Auria che porta lo spettatore alla scoperta della “migrazione invisibile” di Chiasso, costituita da quelle persone che lavorano qui ma la cui casa rimane, anche dopo anni, nell’est Europa. Dall’altro c’è Andrea Staid con la sua Casa vivente (Add, 2021) un libro che esplora (e ribalta) il senso dell’abitare occidentale alla luce delle sue ricerche etnografiche tra le abitazioni indigene di tutto il mondo.
Casa ha un significato all’apparenza diverso per i due ospiti di questo dialogo.
“Per i protagonisti di We are all going home, casa è un concetto difficile: c’è un sentimento di non appartenenza, o di appartenenza ad entrambi i luoghi, Chiasso e il loro paese natale. In questa dinamica, il viaggio diventa un’isola che non c’è, un momento in cui non si è né qua, né là”, racconta Aline D’Auria, che ha scelto di concentrare proprio sul viaggio il suo lavoro artistico, accompagnando diverse famiglie nell’odissea verso le proprie case d’origine.
“A chi non può partire per mettersi in viaggio verso l’est invece ho chiesto di condividere delle foto scambiate con la propria famiglia via telefono. Sono degli scatti incredibili, che io non avrei mai potuto fare, perché non ho la confidenza necessaria, e che ci raccontano la loro idea di casa, di famiglia. Così come molto speciale è stato registrare le ninne-nanne delle mamme dell’est, che sembrano proteggere il mio lavoro”.
Da questa istallazione è nato poi l’omonimo libro (We are all going home, Artphilein Editions, 2021), realizzato insieme al grafico Marco Cassino: “avevamo a disposizione una grandissima quantità di materiale e non volevamo che fosse un semplice catalogo della mostra, ma un oggetto a sé. Il libro è arricchito da un livello in più, dalle altre vite scovate all’interno dei video ma che nell’installazione risultano marginali, non si notano. Diventa un viaggio ancor più corale, collettivo. Come mi ha detto la signora Anna, dalla Russia: Siamo nati partiti per arrivare ad un punto preciso, casa nostra. E anche se ci sentiamo persi, stiamo tutti andando verso casa. We are all going home.”
Aline D’Auria © S.Campagna – ChiassoLetteraria
Andrea Staid invece mette subito in guardia il pubblico: “Come concepiamo casa è una costruzione culturale, e abitare ha a che fare con le identità che siamo in grado di costruire, come i vestiti che indossiamo. La casa può crescere, cambiare, ammalarsi, anche morire! In questo antropocene la nostra casa si è ammalata molto, e noi non siamo più in grado di curarla”, spiega, facendo poi riferimento ai suoi lunghi viaggi dedicati alla ricerca sul campo. “Le popolazioni indigene, dal Nepal al Vietnam, dal Peru al Myanmar, sono ancora in grado di guarire le proprie case, di modificarle. Se vogliamo che transizione ecologica, Green deal o Green economy non restino soltanto parole vuote, dobbiamo cogliere l’opportunità di cambiare le nostre case, di andare verso un abitare vivo. L’ecologia deve avere un approccio decoloniale”.
Queste riflessioni sono frutto del suo lavoro di antropologo e dei molti incontri fatti durante gli anni di ricerca: “l’etnografia”, ci dice, “è un modo per costruire ponti di comprensione interculturale. Non ci si può porre in una posizione dominante, di osservatore, quando si vuole ottenere qualcosa da un dialogo. Io faccio spesso il gioco contrario: mostro alle persone com’è fatta la mia casa. Spesso così facendo mi sento io quello strano, a dover spiegare ad un villaggio che vive in comunità perché chiudo a chiave la mia porta, perché non conosco i miei vicini, o perché il mio palazzo ha un giardino condominiale ma nessuno lo può usare. Questi incontri ribaltano la mia idea di sicurezza, di condivisione, il concetto stesso di abitare!”. Questa ricerca ha mostrato ad Andrea che una casa diversa è possibile, una casa che abbia a che fare con lo spazio esterno, con la condivisione: “casa diventa una ragnatela dei diversi significati che sappiamo darle”. Proprio per questo ha deciso di lasciare il suo appartamento milanese e di portare avanti un esperimento: una casa comoda ma ecologica, costruita utilizzando tecniche e materiali “indigeni ed ecologici” e fatta con le sue mani, insieme a tanti altri “inesperti”, in un cantiere-scuola.
Andrea Staid © S.Campagna – ChiassoLetteraria
Due punti di partenza molto diversi per toccare lo stesso tema, quindi. Quando però chiediamo loro di darci una breve definizione di che cos’è una casa, sono entrambi d’accordo: casa è soprattutto condivisione, relazione, gestione dello spazio quotidiano, e si compone di tutti i significati che sappiamo darle.
Una domanda obbligata riguarda chiaramente il Lockdown: in un momento come quello che abbiamo attraversato, in cui siamo stati costretti a rimanere in casa, come cambia il significato di una ricerca (artistica o antropologica) sull’abitare?
D’Auria ammette che il suo lavoro ha assunto tutto un altro significato dopo la pandemia: “chiudere le frontiere ha stravolto il senso dell’installazione”. Non solo il viaggio verso “casa” non è più stato possibile per i protagonisti del suo progetto, ma per qualche mese persino il tragitto da Chiasso a Ponte Chiasso ci è stato precluso, e viene meno la dimensione concreta del viaggio. Le fotografie e i ricordi sono forse l’unico modo ora come ora per ritrovare un senso di appartenenza.
Staid invece riflette su come di colpo in molti si siano accorti di non riconoscersi nella propria casa, dell’importanza di avere un terrazzo o uno spazio verde, di come l’esposizione delle finestre e l’orientamento della casa dovrebbe seguire i fenomeni meteorologici… in definitiva, di quanto il modo in cui costruiamo casa sia importante (e vada ripensato). Staid cita però anche un altro grande problema: “come fa a rimanere a casa, chi una casa non ce l’ha?”. A questo tema ha dedicato diverse ricerche racchiuse nel saggio (disponibile gratuitamente online) Dis-integrati – Migrazioni ai tempi della pandemia (Nottetempo, 2020).
Una casa diversa è dunque un pianeta proibito?
Secondo Staid, la società che abbiamo formato crea delle “dead zone of immagination”, degli spazi morti nella nostra capacità di immaginare un’alternativa. “La casa ora come ora è una merce, non un diritto. Per questo bisogna cambiare paradigma e capire che la casa è viva, come un corpo, dunque senza casa non c’è vita”.
Anche per D’Auria “bisogna lottare per andare contro le regole, contro le privazioni di libertà, per abbattere le barriere con un dialogo circolare”. Un modo di abitare diverso lo immagina anche attraverso le cooperative, infatti vorrebbe trasformare il progetto della “cooperativa abitativa del Mendrisiotto” in una realtà, riattando uno dei tanti stabili industriali inutilizzati della zona e creando una comunità.
Entrambi sono d’accordo sulla necessità di un cambio di rotta nell’abitare contemporaneo per permetterci di vivere davvero le nostre case.
Insomma, in poco meno di due ore, Aline D’Auria e Andrea Staid hanno permesso ai presenti di sbirciare dalla serratura di una casa nuova, diversa, condivisa e più ecologica.