di Mara Travella
In portoghese il libro s’intitola A Resistência, quella resistenza a pronunciare i fatti che abitano il terreno del passato, in questo caso non eventi qualsiasi, ma quelli legati alla dittatura argentina da cui i genitori della voce narrante sono fuggiti, con un bambino di pochi mesi appena adottato. C’è un’aderenza tra i fatti narrati e la vita dell’autore, che fa sì che ci sia, in queste pagine, una sincerità diretta. Si tratta quasi di un racconto autobiografico: ma non lo è fino in fondo perché – come ci dice Julián Fuks durante l’incontro di oggi, tradotto e mediato da Prisca Agustoni – se «la letteratura voleva essere come una lente di avvicinamento alla realtà» durante il processo di scrittura questa diventava « sempre più una lente che al posto che ingrandire allontanava dal reale, in un costante andare e tornare: è questo il paradosso della scrittura autobiografica».
Malgrado tutto (Pescara, Quarup, 2019) – questa la sua traduzione italiana, curata da Giacomo Falconi (con il quale abbiamo avuto occasione di scambiare qualche parola) – inizia come un tentativo raccontare paradossalmente, di nuovo, i silenzi familiari, i tabù familiari che hanno attecchito sui tabù storici. Come dire il silenzio? E come recuperare un legame, quello con la patria argentina, reciso dal peso della Storia? Le parole sembrano costantemente sfuggire.
Fuks racconta il vivere e il crescere con un fratello che è tuo fratello ma è anche un altro, ha i tuoi stessi genitori ma in un qualche modo lui ha più diritto – sembra – di sentirsi argentino. Il recupero della memoria condotto dallo scrittore brasiliano in queste pagine, andando a Buenos Aires – una città che lo abita – è un continuo interrogarsi sull’autonomia dell’identità e su quanto questa, invece, dipenda dai fatti esterni, dai legami famigliari. È un chiedersi se l’esilio che hanno vissuto i genitori in un qualche modo scorra anche nelle vene vene dei figli, come una cosa che si eredita.
Non importa se poi il fratello dopo avergli suggerito di scrivere per indagare questa condizione di forse esiliati, se lo sia poi dimenticato: non è più importante, perché Fuks continua a scrivere, perché è «un argentino nato in Brasile», e ha bisogno di parlare, dopo tanti anni, di questo trauma. E infatti nella scrittura in lingua originale – ci dice – esiste questo «bilinguismo familiare», perché «la storia racconta di questo transito costante» e non a caso, dopo averlo scritto in portoghese, Fuks l’ha tradotto anche in spagnolo.
Si è parlato tanto di dittature – questi bavagli – durante i giorni di Chiassoletteraria, anche oggi, qui, allo Spazio Officina: quelle passate e quelle presenti, forse perché per interrogarci su quello che ci prospettiamo per un dopo, per il Mondo Nuovo, abbiamo ancora bisogno di ricordarci dov’è possibile – ieri come oggi – ricadere. «Propongo di nuovo questo sguardo per nulla eroico» afferma l’autore «cioè ripartire da quello che succede oggi, da questa confluenza terribile di quanto succede in Argentina, in Brasile, che rappresenta una consonanza storica di quello che è il peggiore lato della politica oggi. Questo brave new world racchiude dentro di sé quanto di più antico e reazionario della politica odierna, perlomeno in Occidente – ma allo stesso tempo credo che non bisogna darsi per vinti, anzi: dobbiamo avere un’ attitudine diversa verso questo orrore che si ripresenta, credere in una riconfigurazione costante e cercare di metterla in atto».
Di seguito trovate la breve intervista fatta allo scrittore brasiliano.
Una domanda sul panorama della letteratura brasiliana, che lei conosce anche in quanto studioso e critico. Com’è il panorama letterario, perlomeno nella generazione più giovane?
Il Brasile è un paese vastissimo e complesso, ed è impossibile parlare di Brasile senza parlare di diversità. S’inizia con questa idea di unità ma è ingiusto perché ci sono molte varianti. In questo momento c’è vibrazione, cosa che prima non c’era. Molte persone scrivono di più e credo più del passato. Mi spiego meglio: per molto tempo la letteratura brasiliana era molto vicina alla sociologia, ora invece ci sono strade più intime che si stanno percorrendo. La letteratura brasiliana giovane è più cosmopolita, ha un modo di guardare verso il mondo, e non solo verso la realtà brasiliana sociale. Adesso c’è un cambiamento perché nessuno pensa a trovare un’idea di identità nazionale in un libro, nessuno si chiede più cosa ci definisce. Non perché non era un buon proposito, ma nessuno tenta di fare ciò con la letteratura. Oggi ci sono viaggi più personali, dove ognuno trova il suo cammino, aprendo nuovi panorami in questa direzione. Il dialogo mi sembra che si sia moltiplicato, se prima c’erano delle influenze specifiche, oggi tutto è più plurale e si scrive leggendo più la letteratura internazionale: è uno sguardo più attento e aperto.
Abbiamo sentito parlare di questo lungo lavorio sul passato, di ricerca continua. Quanto ci ha messo a scrivere A Resistência, l’ha fatto subito, durante, dopo?
Io scrivo molto lentamente. Passa molto tempo tra un libro e l’altro, c’è una digestione necessaria di questi argomenti. In certi momenti durante la stesura dovevo fermarmi, perché non potevo continuare: dovevo stare un mese senza pensarci. Con il tempo ho sentito che era una specie di digestione. Dopo questi due libri sono stato due anni senza scrivere, ma non mi ha sorpreso perché è parte del mio processo.
Dopo aver trattato della dittatura argentina – quasi come se avesse saldato il conto con il passato – oggi pensa di scrivere qualcosa di più contemporaneo, sulla situazione del Brasile?
Sì è la mia preoccupazione. Il libro è più attuale e brasiliano, mi allontano dall’Agentina e dal passato dei miei genitori e mi avvicino più Brasile, dove si esige una presa di posizione. Credo che già è passato troppo tempo da quando non scrivo sul mio paese – quello che è veramente il mio paese. Sento che è possibile fare qualcosa del Brasile, sul Brasile, e in Brasile – e dev’essere forte, incisivo, partecipativo e necessariamente politico. Non mi allontano dall’aspetto autobiografico, ma a partire da una voce personale e intima cerco di avvicinarmi all’altro – come a mio fratello nell’altro libro. È pensato come una specie di dittico. Adesso voglio parlare degli altri, degli sconosciuti, dei discorsi che ci toccano e che rimangono. Per questo ci metto molto nello scrivere, perché voglio scrivere di quello che mi abita. Non tratterò di quello che è successo nel passato ma dell’oggi, di qualcosa che dev’essere elaborato e riflettuto. E in questo momento la letteratura non può essere se non politica.
Siamo in compagnia di Giacomo Falconi, traduttore del primo romanzo di Julián Fuks in Italia. Come sei arrivato a Julián Fuks?
Io mi occupo di scouting letterario e sono alla costante ricerca di narratori, sono particolarmente focalizzato sugli scrittori sui trenta-quarant’anni: in questa fascia Fuks è quello che ha fatto più strada. Circa quattro anni fa quando ho visto Resistencia mi sono accorto subito che era un’ opera di livello superiore alla media, ho quindi cercato subito un editore italiano. Ci ho messo molto tempo, ma alla fine ho trovato un editore interessato al mondo lusofono; non appena l’editore ha letto il testo se n’è innamorato e siamo arrivati alla pubblicazione.
Quali sono state le difficoltà nella traduzione – quanto è stato difficile mantenere alto il famoso grado di fedeltà ?
La difficoltà sta nel fatto che lo stile di Fuks è incentrato sulla scelta di termini anche molto desueti e questo porta al dovermi muovere da una parte verso lo scrivere nel modo più semplice e naturale possibile, e dall’altra parte nel dover rispettare la scelta del mio autore di mantenere un registro alto e molto ricercato, quindi è stato un cammino nel quale non mi sono potuto discostare molto dal testo di partenza. Ma tutte le volte in cui è stato possibile ho scelto la semplicità.
Hai avuto contatti diretti con Fuks, hai dialogato con lui e chiesto consigli ?
Attraverso l’uso dei social ho potuto contattare diversi autori, e in questi anni ho sviluppato un’amiciza con Julián. Gli ho chiesto più volte spiegazioni sulle scelte da lui adottate, e questo ha fatto sì che il romanzo italiano fosse fedele alla versione originale. Mi sono interessato anche alla versione spagnola, fatta dallo stesso autore, e questo mi ha permesso di risolvere alcuni punti, magari ingarbugliati.
Hai in cantiere nuove traduzioni ?
La settimana prossima esce a Torino un romanzo di André Timm, , intitolato «Modi incompiuti di morire», per Tuga Edizioni, piccola casa editrice interessata al mondo lusofono, ed è molto interessante anche questo.
Che importanza hanno le nuove case editrici indipendenti – nate nel nuovo panorama editoriale italiano, che hanno questa identità molto forte – che ruolo hanno nella divulgazione della letteratura brasiliana?
La pluralità è fondamentale per non lasciare l’editoria nelle mani di case editrici grandi. Il fatto che ci siano ancora piccole e medie case editrici molto agguerrite, con un catalogo focalizzato su un tema, è molto importante per permettere al lettore di scegliere un libro in linea con i propri gusti e di trovare opere anche di lingue meno famose come il portoghese, il catalano, e altre lingue a cui non viene dato spazio.