2010 – Stanze
5° Festival internazionale di letteratura
Per un festival di letteratura proporre una riflessione sul mondo diffuso in cui viviamo attraverso il concetto di “stanza“ può essere un anacronismo necessario. Il luogo – sociale e letterario – della stanza ci riporta in pieno ‘800, all’urbanizzazione, all’avvento della borghesia e alla crescente attenzione per l’abitazione e i suoi spazi. La camera da letto si afferma un po’ dappertutto a partire dal 1840, ma la generalizzazione della stanza come luogo privilegiato di intimità, estranea alla cultura contadina, è un fenomeno tutto sommato recente, che si compirà pienamente solo negli anni ’60 del secolo scorso con lo sviluppo del settore edilizio.
Per Virginia Woolf di Una stanza tutta per sé sarà il luogo di emancipazione del suo essere donna e scrittrice, mentre per altri – Walter Benjamin, Joseph Roth, Raymond Roussel, Cesare Pavese – sarà, nella sua versione alberghiera, il luogo del congedo definitivo. Molti romanzi avranno nella stanza il topos principale.
Luogo borghese per eccellenza sarà rifuggita o minata da non pochi scrittori, come Sartre (che scrisse del resto un certo Huis clos) e Simone de Beauvoir, che le preferivano i tavoli dei caffè, o come Kerouac, Ginsberg e tutti i figliocci della beat generation che ne vedevano un simbolo di paludamento famigliare e isolamento culturale.
Il pensiero postmoderno, attraverso la rottura definitiva dei tradizionali steccati tra i generi e la commistione delle forme, giocherà a scomporla e ricomporla come un cubo di Rubik. La stanza come luogo letterario sembrava allora finita, desueta. Nell’epoca della rete e del Grande Fratello, la stanza però non scompare, cambia pelle: “non ha più pareti” e diventa luogo di connessione, sovresposizione e caduta del pudore (come dimostra l’onnipresenza di chat, blog, you tube, reality tv), ma anche fragile cocoon, sempre più confortevole e accessoriato, entro cui ripararsi dall’incombenza del reale.
Nel presente globalizzato, il mondo diventa stanza a sua volta. Il discorso politico si polarizza, contrapponendo visioni che ne colgono l’unicità di ecosistema indivisibile (che richiede risposte pure globali) a localismi populisti che – illusoriamente – si limitano a erigere stanze blindate, sempre più strette e sorvegliate.
La “stanza”, nelle sue innumerevoli varietà e declinazioni, ci è sembrata allora una chiave di lettura promettente. In fondo un festival di letteratura non è forse una sorta di appartamento entro le cui stanze incontrarsi e rimembrare la nostra condizione di locatari dell’esistenza?