Di Giuditta Wiesendanger
Il festival è iniziato, o quasi. In attesa dell’inaugurazione ufficiale, ChiassoLetteraria propone degli eventi pre-festival per tutti coloro che non si accontentano di un weekend di appuntamenti.
Mercoledì primo maggio la proiezione di Orlando, ma biographie politique (2023) di Paul B. Preciado ha portato un gran numero di persone al Cinema Teatro di Mendrisio. Tra queste era presente Lou Lepori, giornalista e attivista queer. Lou Lepori ha deciso di venire a “metterci la faccia”, proprio come Preciado fa nel suo Orlando.
Non so se posso parlare per ogni singola persona in sala, ma di certo c’è chi come me è rimasto incredibilmente rapito dalle parole di Lou che hanno preceduto il film. Con la sua introduzione su Preciado e la teoria queer, Lou ci ha accompagnato in un viaggio verso la comprensione e l’apprezzamento di Orlando.
Qui prendo in prestito alcune parole di Lou:
Preciado “incarna la figura del militante pur essendo un filosofo,” uno “un po’ punk.” Preciado ha realizzato un film “intellettualmente vicino al suo ambito di studi” in cui ridefinisce i concetti di patriarcato ed eteronormatività. Orlando è una pellicola ibrida, è un film-documentario “fait maison” che parla di transizione e di transitorietà di genere.
Libero adattamento del libro Orlando di Virginia Woolf, il film d’esordio di Preciado è un’opera gentile, umoristica e anche di rivolta. La voce narrante è quella dello stesso Preciado, che porta avanti un dialogo con Virginia Woolf mentre accompagna gli spettatori e i personaggi in un viaggio di ridefinizione. Un secolo dopo la pubblicazione del romanzo (in cui il protagonista vive una transizione), il filosofo trans decide di inviare una lettera cinematografica a Virginia Woolf, dicendole che il suo Orlando è uscito dal suo libro, dalla sua finzione, e che ora sta vivendo una vita che lei non avrebbe mai potuto immaginare.
L’opera dimostra come l’identità trans o non-binaria possa cambiare il corso della storia, o meglio delle storie, visto che il film non smette mai di destreggiarsi fra la storia di Orlando, quella della Woolf, quella di Preciado, ma soprattutto quella delle persone protagoniste del film, che sfuggono dal binarismo di genere e che incarnano un immenso spettro di potenziali Orlando. Ad accumunarle c’è un elemento visivo che salta facilmente all’occhio: la gorgiera bianca, “accessorio” della nobiltà maschile di rango caratteristico del personaggio woolfiano.
Paul B. Preciado apre il suo film con una domanda emblematica: “Dove sei Orlando?”. Già dalle prime battute, l’opera si carica di una forte impronta politica, assumendo la forma di un collage femminista su un muro bianco. L’ambientazione è fin da subito presentata come artificiale: scenografie a vista, cameraman inquadrati, neve finta che imbianca i capelli degli attori, pennelli da trucco che definiscono i volti degli Orlando prima di ogni scena. Tutto è finto e costruito, proprio come la realtà stessa, ci suggerisce il filosofo. Preciado, infatti, sceglie di smantellare il concetto di natura, spesso utilizzato per discriminare le persone trans. Attraverso la messinscena, evidenzia i limiti e la natura artificiale di questo costrutto, smascherandone l’utilizzo strumentale per opprimere le minoranze.
I corpi degli Orlando incarnano una dissidenza che permea tutto il film insieme al rifiuto più totale del binario. Orlando non è né un film né un documentario, ma allo stesso tempo è entrambi. È una pellicola-mosaico che mescola e unisce le storie personali di persone trans con citazioni abilmente contorte del romanzo della Woolf. Costruito in blocchi che giocano con la struttura narrativa del libro, il film ha una gentile e spiritosa anima rivoluzionaria. Preciado ha un chiaro progetto politico che emerge dalle immagini insubordinate del suo Orlando. Fra queste c’è quella della decorazione dell’organo sessuale, che tradizionalmente determina il genere di una persona, al fine, per esempio, di avere un “pene femminile” per portare finalmente a una “abolizione dell’assegnazione del genere alla nascita”.
Orlando è un ritratto composito della comunità trans che celebra le battaglie vinte finora senza dimenticare quelle attuali. Per riprendere ancora le parole di Lou, un po’ di strada è stata fatta da quando nel 1800 la donna era percepita come un uomo “mal cotto”, o dal 1991 quando l’omosessualità ha smesso di essere considerata una malattia dall’OMS. Preciado ha voluto celebrare la continuità e rappresentare l’inseparabilità delle diverse storie di vita trans che si incontrano, si mescolano e riecheggiano una con l’altra. Ogni storia è preceduta e accompagnata da un’altra e fra loro condividono il desiderio di fare la storia. Il principio estetico e politico di Orlando è quello della condivisione. Attraverso le loro parole e i loro corpi, gli Orlando testimoniano alcune delle questioni istituzionali che punteggiano la vita di molte persone della comunità trans: difficoltà a cambiare nome, psichiatrizzazione e varie forme di violenza.
La bellezza del film di Preciado sta nella sua fede nel potere delle immagini e del linguaggio di trasformarsi e di trasformare. La forza del suo pensiero sta soprattutto nell’idea che una trasformazione dell’individuo sia tanto fragile e difficile quanto radicale e rivoluzionaria.