di Arianna Limoncello
“Hai avuto molte fidanzate?”
“Fidanzate,” ripeté ridendo, come fosse il titolo di un cartone animato. “Sei buffa, così sentimentale.”
Mi sentii avvampare dalla vergogna. Forse avrei dovuto dirlo in inglese: girlfriend. Significa sia fidanzata che amica, è una parola sicura, la sua ambiguità mette al sicuro dalla delusione. Anche in cinese, nupengyou è anche amica. Tra le lingue che io e Xu avevamo in comune, solo l’italiano descriveva lo stare insieme con una parola così intima e univoca, vischiosa come mani intrecciate sotto un lenzuolo: una parola che derivava da fiducia.
(da Fame blu, 2022)
Viola Di Grado è protagonista di uno degli ultimi incontri della domenica di Chiassoletteraria. Attraverso la moderazione di Mara Travella, ci immergiamo in un viaggio fra i suoi titoli, dall’esordio Settanta acrilico, trenta lana (edito nel 2011) sino al più recente Fame blu (edito nel 2022). Perché sì, la scrittura di Viola Di Grado permette proprio un’immersione nel mondo da noi abitato ma percepito attraverso uno sguardo particolarissimo, srotolato in una serie di immagini insieme oniriche, quasi distopiche nella loro decadenza. E così, luoghi che non hai mai visitato ti si offrono in dettagli chiarissimi e i personaggi ti si rivelano nelle loro connotazioni più disparate. I luoghi appaiono di fatto come veri e propri personaggi, come sottolinea l’autrice durante l’incontro a lei dedicato. Questo perché i romanzi di Di Grado si pongono al di là di una visione antropocentrica della narrazione e acquisiscono valore egualitario gli oggetti, i luoghi e gli animali, assume importanza centrale la peculiarità giapponese del “riconoscere il valore della materia che ci circonda”.
Nella sua ultima pubblicazione, Fame blu, una protagonista senza nome, la cui identità è sopraffatta da quella del perduto fratello gemello Ruben, si muove in una Shanghai spigolosa, artificiale, scomoda. L’incontro con Xu apre le porte ad un nuova sfaccettatura dell’inospitalità riflessa nel luogo in cui avviene la storia. Una dominazione che si profila attraverso la lingua, il rapporto con altre donne e la somministrazione di un cibo inusuale, che genera un iniziale ribrezzo. Tutto questo restituisce alla protagonista una tristezza che la alberga dalle prime alle ultime pagine della storia, che la radica ancora di più al primordiale sconforto della perdita del fratello.
Nell’intervista qui proposta di seguito, tentiamo di andare a fondo della sua cifra stilistica e capire la genesi di questa particolare posizione da cui l’autrice osserva il mondo e lo traduce in scrittura.
In Fame blu vi è un’indagine particolarissima del tema della corporeità, la quale è pregnante in tutto il libro a partire dai titoli dei singoli capitoli. Tale tematica, unitamente a quella della sessualità e del rapporto affettivo, si lega a quella della fame e dell’atto del mangiare, con tutte le implicazioni derivanti. Come mai questi due temi sono così legati? Cosa ti ha portato a parlare del corpo sotto questa luce?
Se ci pensi l’essere umano impara ad amare divorando la propria madre, alla fine è questo l’allattamento. In realtà è molto vicino al divorarsi, all’apprendimento dell’amore. La fame delle due protagoniste è una fame soprattutto di amore, sono due persone molto sole e la protagonista in particolare, essendo reduce da un lutto e da un’unione gemellare in cui lei sentiva di avere una carenza di identità, cerca questa identità con fare vorace in un’altra persona, nell’innamoramento. Un po’ tutti cerchiamo nell’amore un’identità rafforzata, in un certo senso e naturalmente non può funzionare perché non è questo che possiamo trovare nell’amore. Il tema del cibo è molto forte anche letteralmente perché vi sono questi cibi anche cruenti che entrambe consumano: lei consuma spinta da Xu perché la dominazione di Xu è soprattutto linguistica e attraverso il cibo. Le fa mangiare organi interni, cose che lei non avrebbe mai mangiato e da lì si scivola verso il mangiarsi l’un l’altra, verso il colmare questa carenza che accomuna entrambe, di identità e di affetto. Nel caso di Xu anche lei ha avuto un passato terribile e una famiglia in cui lei non era amata, né accettata per quello che era, così come invece la protagonista è lei stessa che si sente sbagliata, come se l’identità giusta fosse quella del fratello gemello. E quindi cercando di mescolarsi, di fondersi, è come se cercassero di sopperire a questa mancanza di identità, quindi divorandosi per inglobarsi l’un l’altra.
Nel libro trova largo spazio il tema della traduzione, del suono delle parole e del rapporto tra significante e significato. In un passaggio la protagonista si interroga sulle sfumature diverse tra il termine “fidanzata” in italiano e la sua traduzione in cinese. Come influisce il tuo lavoro di traduttrice sulla scrittura?
In realtà io traduco da quattro o cinque anni e quindi non direi che è la traduzione che mi influenza. In genere io cerco sempre di stabilire una distanza dalle parole perché ci tengo a usarle in modo diverso, sperimentale, leggermente diverso da quello in cui sono normalmente impiegate e quindi il mio approccio è come se fosse da traduttrice, nel senso che io stessa è come se traducessi. Mi hanno detto che a volte leggermi risulta strano perché senti che una cosa è familiare ma al contempo è come se la dovessi tradurre. Questa cosa è vicina a quello che vorrei ottenere, attraverso anche lo studio delle lingue dell’Asia, ideografiche, ovvero creare questo spazio più neutro possibile, non influenzato dai meccanismi del linguaggio e in un certo senso è come se traducessi costantemente mentre scrivo.
La tua vita è costellata di spostamenti e questo si riflette in parte anche nei tuoi personaggi. In particolare, la protagonista di Fame blu si trasferisce dall’Italia a Shanghai e la percepisce e la osserva con occhi quasi estraniati. In che modo gli spostamenti geografici e i tuoi viaggi hanno influito sul tuo processo creativo?
Influiscono tantissimo. Sono sempre stata nomade, solo adesso mi sto fermando a Londra ma per i passati diciassette anni, ho sempre vissuto almeno in un posto all’anno perché il mio intento era quello di raccogliere più stimoli possibili assorbendo tutto in me e quindi questa macchina di scrittura continuamente macinava nuovi stimoli per trasformarli in voci.
Leggere dapprima Fame blu e poi Settanta acrilico, trenta lana, ovvero il tuo libro di esordio, mi ha permesso di compiere un viaggio a ritroso nella tua opera. In che modo è cambiata la tua scrittura nel tempo?
Si cambia di continuo, come persone e anche come scrittrici. Sono convinta che rimangano le fondamenta della mia identità di scrittrice, quello che cambia sono le voci che presto ai romanzi perché le storie sono diverse, i personaggi sono diversi. Per ogni romanzo che scrivo creo una voce che è soltanto per quel romanzo, quindi in questo senso sento l’esigenza di cambiare da romanzo a romanzo a seconda della storia che sto raccontando e per quanto riguarda l’evoluzione della scrittura immagino che siccome cambio, di conseguenza cambia anche la scrittura e continuerà a cambiare anche se non totalmente, perché in ogni caso si capisce che rimane la mia scrittura.
Viola Di Grado ha dichiarato durante l’incontro di avere nuove voci nel cassetto, nuovi manoscritti che attendono di venire al mondo e noi di Chiassoletteraria non possiamo che attendere impazienti di divorare un nuovo capolavoro di questa fantastica autrice!