di Sofia Perissinotto
Perché lavoro?
A quali condizioni?
Quanto si deve lavorare per vivere?
E se non voglio più, se non voglio più lavorare così tanto, posso dire di no?
Posso dissentire, posso andarmene?
E se lascio tutto?
Sono un dissidente?
Le Grandi dimissioni sono un fenomeno recente, che riguarda soprattutto, ma non solo, le grandi potenze dell’economia. Giganti messi in crisi dall’interno, da voci che rivendicano un diritto nuovo, quello dell’abdicazione.
E così la necessità di ripensare modi e forme è ancora più urgente.
Il lavoro nobilita (ancora) l’uomo?
Nel 2021, 49 milioni di persone, negli Stati Uniti, si sono licenziate.
Nel 2022, sempre negli Stati Uniti, il numero si è alzato, 52 milioni.
Le grandi dimissioni. Il nuovo rifiuto del lavoro e il tempo di riprenderci la vita è il libro di Francesca Coin in uscita per Einaudi. Coin, sociologa, ricercatrice e docente universitaria italiana si occupa delle trasformazioni del lavoro digitale, gratuito, precario nell’epoca neoliberale e di disuguaglianze sociali, movimenti sociali e politiche universitarie. In questo saggio indaga le Grandi dimissioni; la decisione di un numero sempre maggiore di lavoratori e lavoratrici di licenziarsi, di lasciare il proprio posto di lavoro. La tendenza, in crescita, è il sintomo di un malessere profondo, di lunga data, esploso con la pandemia.
Il 13 maggio 2023, in un affollata sala Diego Chiesa, Coin incontra e dialoga con Christian Marazzi, economista, ricercatore e docente universitario svizzero, voce di riferimento per la riflessione sulle trasformazioni del modo di produzione postfordista e sui processi di finanziarizzazione.
La presentazione in anteprima del libro diventa trampolino per uno sguardo ampio sul mondo del lavoro e sui tratti più marcati della sua crisi.
A introdurre è Marazzi, che subito pone l’accento su un elemento cruciale: oggi, sempre di più, siamo di fronte a una vita messa al lavoro. Il lavoro ha sconfinato, ci insegue, non dà tregua, sino a tramutare anche l’ozio in un’attività produttiva.
In questa torsione di tempo e spazio, le nuove tecnologie hanno un ruolo fondamentale. Spiega Marazzi, richiamando il suo “La gratuità si paga. Le metamorfosi nascoste del lavoro”, che le nuove tecnologie stanno cambiando il modo di lavorare e di organizzare il lavoro e la produzione, e consentono di estrarre valore dagli atti della vita quotidiana su una scala mai sperimentata prima.
La scena si anima allora di figure nuove; come quella del prosumatore, il nuovo soggetto economico che partecipa, a livello più o meno inconsapevole, e a titolo gratuito, alla produzione dei beni e servizi che esso consuma.
Una delle conseguenze della scomparsa del confine tra sfera lavorativa e sfera privata è la patologizzazione del lavoro: lo studioso segnala che, solo in Svizzera, il costo dello stress è di circa 7 miliardi l’anno.
Sempre i numeri dicono che, attualmente, 1 svizzero su 3 ha in programma di cambiare lavoro.
E se non si può andarsene fisicamente, allora lo si fa mentalmente. Straordinari? No, grazie.
Ma cosa c’è che non quadra?
La parola passa a Coin che sceglie di capovolgere la prospettiva: perché si lavora? Quali sono le condizioni che generano la fedeltà del lavoratore nei confronti, ad esempio, dell’azienda?
Tra gli altri, il tempo – nella sua concezione più ampia, soggettiva ed esperienziale – sembra un fattore centrale. Il tempo nella sua concezione più ampia e nella sua dimensione più esistenziale e soggettiva, il tempo per sé e per gli altri, il tempo: il tentativo di sottrarsi, di rendere impossibile l’accaparramento, l’accaparramento vorace delle parti, dei tempi migliori della propria vita sembra diventato la molla che innesca il cambiamento, il no, le dimissioni. I dati, ricorda Coin, dicono che, spesso, molte delle persone che lasciano il lavoro, magari lo fanno senza una precisa alternativa.
Coin e Marazzi concordano allora sull’inevitabilità di risposte drastiche a uno sistema che, negli ultimi quaranta anni di neoliberismo, ha subito il lento e inesorabile smantellamento del welfare.
Le persone se ne vanno, scelgono l’esilio o cercano forme nuove, all’insegna di un riallineamento alle proprie esigenze e ad altri valori.
Infine, i due studiosi interrogano e si interrogano su quale sia l’antidoto possibile e lo individuano nell’elemento fondante di ogni dissidenza: l’uscita dall’isolamento, l’aiuto reciproco, la creazione di una comunità consapevole, in ricerca di valori altri.
Dice Marazzi molti dicono che non c’è futuro. Io dico che tutta la nostra vita è colma di speranza. Ma, per permetterci di partire, la speranza si deve intersecare con la rabbia.
Non resta allora che restare in allerta,
e ricordarsi, quando sarà il momento, di spegnere la luce.