di Arianna Limoncello
La poesia è un luogo dissidente. Ed è proprio di luoghi e del tempo che vi intercorre che parlano le due raccolte, molto diverse ma al contempo affini, presentate durante il pomeriggio del sabato di ChiassoLetteraria. Dal pubblico traspare un ascolto attento, emozionato, indice di un’immersione totale nelle parole e nei versi delle due poete ospiti: Laura Di Corcia e Prisca Agustoni. Protagoniste insieme alle autrici sono le loro due ultime pubblicazioni, rispettivamente Diorama (TLON, 2021) e Verso la ruggine (Interlinea, 2022). Due titoli che, come evoca immediatamente la moderatrice Valentina Grignoli, “subito raccontano di sguardi”, offrendo un punto di vista sul mondo contemporaneo e i suoi accadimenti. Diorama tematizza, come spiega Di Corcia “una pausa nell’evoluzione”, una sospensione temporale che prende le distanze dalla sopraffazione antropocentrica degli uomini su altri uomini e pone il paesaggio come punto privilegiato di osservazione. “Il paesaggio”, sostiene la poeta, “è dove l’uomo non mette mano, dove le cose si ristabiliscono secondo l’armonia, dove non c’è solo il male, ma c’è anche il bene”. Se Diorama ci restituisce una sospensione, Verso la ruggine, fin dal titolo, indica un movimento. “Mi sono convinta che dovevo mettere in pratica il movimento lento che scorre”, afferma Agustoni, “quello geologico, che porta alla formazione di certi territori e alla loro distruzione. Guardare ad un tempo lontano ci insegna una temporalità diversa da quella che concepiamo.” La distruzione menzionata da Agustoni riguarda eventi catastrofici ben precisi, che costituiscono il centro, l’occasione montaliana della genesi della raccolta: il crollo della diga di contenimento nello stato del Minas Gerais e il successivo riversamento di materiali tossici nel Rio Doce, il fiume dolce. La poesia di Di Corcia e Agustoni si pone di fronte alla contemporaneità e alle ferite del mondo che ci circonda con stili e soggetti diversi, ma con una postura osservativa simile. Che ruolo ha dunque la poesia di fronte alla storia, alla cronaca, alla catastrofe, alla narrazione degli avvenimenti? La poesia ci obbliga a rallentare nel caso di Agustoni e sostare nel caso di Di Corcia al fine di “percepire, capire, ricominciare”. La poesia, secondo Agustoni, “ci educa al rallentamento, ad elaborare, a scavare”, per Di Corcia “ci apre gli occhi in modo diverso e attua uno slittamento rispetto al linguaggio a cui siamo abituati, quello della comunicazione”. In questo senso la poesia è un terreno fertile nel quale coltivare e far fiorire la dissidenza, un movimento controcorrente rispetto ai ritmi della società attuale e “di un capitalismo che tende a fagocitare tutto”.
Le due autrici hanno risposto ad alcune nostre domande in seguito all’incontro, per continuare a parlare di poesia e a concederci di rallentare e annaffiare il seme di dissidenza che essa ha piantato in noi.
La letteratura in generale, e la poesia in particolare, sono dissidenti? In che modo?
Laura Di Corcia: Questa domanda riporta in auge un quesito che mi è stato posto anche per Viceversa, perché è uscito una prosa sul tema ribellione in letteratura, ma prima io avevo scritto un saggio e mi sono interrogata quindi con un certo approfondimento sulla cosa. Secondo me la letteratura è sempre dissidenza, nel senso che è una reazione al mondo così com’è e che non ci sta bene: credo che a nessun corpo possa stare bene il mondo così com’è e che anche il migliore dei mondi possibili crei una frattura tra il corpo e ciò che ci circonda. Questo avviene nonostante quello che noi chiamiamo soggetto sia una forma di illusione, nel senso che c’è sempre un’interazione fra le cose, ci scopriamo nel rapporto e nel contrasto fra gli altri, ma questo contrasto crea una frattura che il corpo registra e da cui cerca di difendersi. Se la letteratura quindi ha a che fare con il corpo, è sempre dissidenza. La scrittura diventa una forma di analisi profonda che registra uno sguardo sbieco sul mondo.
Prisca Agustoni: Credo che ci siano divesi modi perché la letteratura sia dissidente. Vi è una dissidenza politica per la quale i testi si discostano da una tendenza uniformizzante oppure denunciano una serie di fatti legati alla politica, ma può essere anche dissidente nella misura in cui provoca l’assurdo in società estremamente pragmatiche e legate ad una logica di causa-effetto, di produzione. Io credo che ci sia un senso forte di dissidenza nella poesia (e anche nella mia) nella misura in cui essa provoca un rallentamento nella percezione del mondo. Noi abbiamo una percezione del mondo molto veloce, anche perché siamo spesso passivi, riceviamo informazioni e soprattutto immagini a ritmi acceleratissimi, senza darci il tempo di assimilare, di macerare. Io credo che la poesia da sempre abbia questo valore trasversale, di portarci su un’altra strada, su una deriva che apparentemente si scosta da questo ritmo e anche da una nozione molto utilitarista del linguaggio e da tutto quello che ne consegue. Viene provocato un cortocircuito, uno smottamento nella percezione della realtà che ci obbliga a rallentare, a riflettere e, perché no, anche ad interrogarci, ad essere partecipi del processo di costruzione del senso di un testo. In questo senso credo che sia dissidente. Si discosta anche dagli strumenti del linguaggio della comunicazione tout court o il linguaggio politico e provoca un allontanamento da questi sistemi utilitaristi.
L’incontro tenutosi oggi mi ha colpito molto perché ha messo in evidenza come entrambe abbiate lo sguardo rivolto a tematiche affini (anche se non necessariamente agli stessi soggetti) ma in maniera diversa. In che modo diversità e similarità con altri autori nutrono i tuoi versi?
Laura Di Corcia: Penso di essere un’autrice piuttosto diversa dagli altri autori presenti sul panorama perché ho fatto un percorso sui generis: già il fatto che io abbia lavorato a stretto contatto con Majorino, che è un autore che non ha molto seguito e di cui fondamentalmente ci siamo occupati in quattro, cinque persone, è significativo per la mia scrittura. Forse un autore con cui mi sento in consonanza è Biagio Cepollaro. Lui forse come me ha una scrittura molto eterogenea, dove si mescolano cose diverse. Normalmente mi trovo confrontata con autori che scrivono diversamente da me. Ma io tendo ad essere politeista nella scrittura, il politeismo mi porta ad avvicinarmi a forme di scrittura diverse, alcune che apprezzo di più e altre che apprezzo di meno. Tante volte apprezzo delle scritture molto legate alla ricerca, allo sperimentalismo, che magari sono un po’ frenate nell’apertura all’altro e questo è spiacevole perché credo che sarebbe più proficuo leggersi al di là delle paranoie e steccati mentali. Il panorama è molto complesso in questo momento e anche molto battagliero, per quanto riguarda la produzione poetica italiana e quindi ci sono varie scuole di pensiero. C’è anche però nella mia generazione la voglia di superare certi steccati, sono operazioni che si stanno portando avanti da un po’ di anni e che mettono insieme ragioni diverse. Ritorno a questo proposito al mio maestro Majorino, lui ad esempio fondeva le ragioni della lirica e quelle dello sperimentalismo e penso che sia stato uno dei pochi.
Prisca Agustoni: Io sono una grande lettrice di poesia da sempre e siccome ho la convivenza antica di letture in più lingue, leggo direttamente in francese, inglese, spagnolo, portoghese e tedesco (anche se con il tedesco lavoro sempre con la traduzione a fianco); diciamo che in un certo senso ho una vasta gamma di dialoghi silenziosi sia con autori o autrici contemporanei e contemporanee, sia con quelli passati, che sono lì ad alimentare la mia scrittura. È fondamentale questo dialogo, questo ascolto di altre voci. È chiaro che ci sono voci che sento più simili e vicine a me, che sono state più significative per il mio percorso. Penso evidentemente ad una certa tradizione della poesia italiana che parte da Montale e passa per Sereni; poi vi sono stati altri poeti come Stefano Raimondi che sono stati molto importanti o lo stesso Fabio Pusterla che è sempre molto presenta come poeta e come amico. D’altro canto, però, ci sono anche tante voci contemporanee che leggo distanti da me e mi riferisco in particolare alla frequentazione assidua di voci in lingua portoghese, voci brasiliane e anche voci africane di espressione portoghese che ho letto durante molti anni (ho svolto una ricerca dottorale in letteratura brasiliana e africana) e sono voci spesso molto lontane da me nel senso che provengono da un’aria più sperimentale come la spoken word in Brasile, la poesia performatica e visuale, sono voci con le quali dialogo con molto piacere. Spesso sono anche persone che conosco, che ho il piacere di poter vedere in azione, soprattutto per la poesia performatica. Ed è chiaro che questa dimensione anche della voce, del corpo e della tridimensionalità della poesia è molto interessante pur se io non la pratico con molta assiduità, è chiaro che è presente nel momento in cui scrivo e per esempio mi ritrovo sempre più spesso a leggere o declamare poesie e tendo a farlo in modo meno appiattito. Mi piace questo dialogo con il teatro, la performance. In questo senso considero la poesia anche un territorio di sperimentazione, per mettersi in gioco costantemente.
C’è una poesia della tua raccolta alla quale ti senti particolarmente legata?
Laura di Corcia: Un testo a cui sono particolarmente legata è Due bambini perché costituisce il nucleo da cui parte una nuova forma di scrittura, ha avuto subito riscontri positivi e contiene slittamenti di senso nella direzione in cui vorrei sempre andare. È un testo che mi è stato commissionato: mi era stato chiesto in occasione delle Giornate di Soletta di scrivere un testo sul tema della donna e della violenza e questo testo non l’affronta mai frontalmente, l’affronta trasversalmente. Penso sia il testo più importante della raccolta e ci sono molto legata. È un testo che mi è venuto di getto e che mi ha da subito convinto.
Prisca Agustoni: è difficile identificare dei testi a cui sono particolarmente legata perché la prima sezione è tutta rappresentata da sequenze di poesie, da giornate. Una giornata è composta da cinque o sei componimenti che si susseguono senza titolo e quindi è un po’ difficile isolarli dall’insieme. La seconda parte è invece caratterizzata dalle voci degli abitanti sopravvissuti. Se dovessi indicarne una indicherei la sezione il cui titolo è La tartaruga, quella che tendo a leggere più spesso in pubblico, per questo animale che rappresenta un’alterità forte per l’essere umano e che al contempo ci rinvia alla nostra condizione di fragilità e di fugacità, in rapporto per esempio alla sua lentezza, alla sua probabile durata superiore alla nostra e allo stesso tempo al ritmo rallentato di cui parlavo prima, che ci permette di lanciare uno sguardo in prospettiva molto più epocale sul nostro tempo e sulla nostra contemporaneità.
E quindi, cari lettori del blog di Chiassoletteraria, concedetevi di rallentare, di osservare i fatti da prospettive diverse e di frequentare i luoghi della poesia, sempre.