di Rachele Spinedi
Mikhail Shishkin (Mosca, 1961) è uno scrittore russo naturalizzato svizzero, vincitore di numerosi premi letterari in patria e all’estero, che vive in esilio in Svizzera da ormai molti anni. A ChiassoLetteraria è stato intervistato dalla sua traduttrice italiana Emanuela Bonaccorsi e tradotto da Romana Manzoni Agliati.
Dall’invasione russa dell’Ucraina, Mikhail Shishkin viene intervistato sulla Russia e sul suo “zar” Vladimir Putin, come lo definiscono i giornalisti. Ma Shishkin è anche uno scrittore affermato, riconosciuto all’estero, vincitore dei principali premi letterari russi e del Premio Strega europeo 2022, e tradotto nelle maggiori lingue europee. È considerato un “classico vivente” della letteratura russa per i temi trattati, tipici della tradizione: la paura della morte, il ruolo e la volontà del bene e della parola. Oltre a scrivere letteratura, è autore di numerosi articoli e saggi di critica letteraria.
Il tema della guerra in Ucraina viene introdotto grazie alla letteratura, al romanzo epistolare Punto di fuga (pubblicato nel 2010 e tradotto in italiano nel 2022), che narra la storia tra due giovani innamorati, mentre lui è al fronte. L’argomento sembra profetico: l’autore è stato capace di parlare di contemporaneità ambientando la storia in un’altra dimensione spazio-temporale, e anticipare gli eventi di una decina d’anni. Che la Russia avrebbe dichiarato guerra a un paese limitrofo era scontato, ha detto Shishkin, perché la Russia è una dittatura, e un regime di questo tipo ha bisogno di creare paura per controllare il popolo, e quindi ha bisogno di nemici.
Negli ultimi mesi i russi, la loro lingua e la loro cultura, hanno subito molteplici attacchi, ma persone come Tchaikovsky, Nabokov, Tolstoj e tutti gli altri grandi artisti russi (scrittori, poeti, compositori) non hanno colpe, anche se adesso vengono associati agli assassini. Ciò a cui Shihskin aspira è ridare dignità alla cultura russa, fare il possibile perché venga ricordata come lingua di artisti.
Il rapporto tra cultura e potere politico in Russia è pieno di conflitti e il grande scrittore russo Pushkin lo aveva capito. In un suo poema, egli afferma: “Il popolo tace”. Questa è la strategia di sopravvivenza dei cittadini russi, perché sanno che l’alternativa è l’esilio, la prigione, la morte. Oltre alla paura, il popolo russo vive nel passato, ancora convinto della distinzione degli esseri umani in tribù, dove quella russa è circondata da popolazioni nemiche, e il governo può e deve fare di tutto per sopravvivere e difendersi. Ma questa non è la strada scelta da Shishkin e dagli altri dissidenti russi, che rischiano la vita per poter evidenziare gli errori del proprio governo. L’attaccamento alla nazione è un meccanismo ormai rodato e sfruttato dai dittatori russi, che riporta anche nei canali d’informazioni ufficiali dello Stato, rappresentando gli eventi con toni patriottici.
In caso di conflitto, la letteratura e la cultura sono le prime vittime. E allora qual è il ruolo dello scrittore in questo clima avverso? La letteratura, anche se non ha impedito la guerra, ha sicuramente aiutato i prigionieri e coloro che magari non riuscivano ad esprimersi o non ne avevano il coraggio.
Lo Stato russo non è interessato alla cultura, ma, almeno in passato, l’ha sopportata, perché durante la guerra fredda l’Occidente era una minaccia più grande. Nella contemporaneità non ci si preoccupa neanche più di fare buon viso a cattivo gioco, si è ritornati all’ordine sociale del XVII secolo, solo che adesso c’è Putin al vertice della piramide costituita da suoi schiavi. La differenza tra il XVII secolo e oggi, però, è stato l’arrivo degli intellettuali europei illuministi nel XVIII secolo, quando Pietro il Grande ha aperto le frontiere all’occidente. Nei due secoli successivi si è sviluppata l’intelligencija russa, che ha conosciuto i concetti di libertà individuali e diritti, opponendosi al resto della popolazione, la quale preferiva un sistema di ordine con a capo lo zar e vedeva l’anarchia in un governo libertario.
Tutti gli scrittori russi hanno affrontato il legame che intercorre tra la letteratura e il regime, a cui hanno dovuto spesso soccombere per non abbandonare il proprio paese, o peggio. La scelta tra i due mali è una caratteristica comune degli artisti russi. Dopo una fase di ribellione, Pushkin ha capito di dover scegliere il male minore e ha sostenuto lo zar nei suoi scritti, ma ciò non è bastato a salvarlo dall’essere giustiziato.
Questi temi sono presenti anche nei libri di Mikhail Shishkin, che non è solo attivista politico ma anche scrittore, di romanzi e articoli, come già anticipato. Particolarmente interessante è l’uso della lingua: Shishkin parla e scrive in russo, tedesco e inglese. La lingua madre è dedicata alla stesura di romanzi, mentre in tedesco e inglese sono gli articoli giornalistici e i saggi di critica letteraria. La questione della lingua è un’altra peculiarità per gli scrittori russi, che si trovano spesso fuori dal proprio territorio d’origine. In che lingua devono scrivere gli scrittori in esilio? Cosa devono raccontare? Shishkin riporta le parole di Thomas Mann, intellettuale tedesco emigrato negli Stati Uniti a causa del fascismo: “Io sono russo, io sono la lingua e la cultura russe.”