di Giuditta Wiesendanger
La chiusura dell’edizione 2023 di Chiassoletteraria è stata segnata dalla presenza di una grande voce della letteratura contemporanea italiana: Igiaba Scego. Nella discussione sul suo ultimo romanzo, Cassandra a Mogadiscio, l’autrice ha offerto al pubblico del festival un’opportunità unica per scoprire non solo i retroscena di questa opera ma anche il contesto in cui si inserisce. Cassandra a Mogadiscio, candidato al Premio Strega di quest’anno, è un memoir dedicato alla nipote della scrittrice, che mira a creare ponti tra la storia contemporanea della Somalia e la vita di coloro che hanno conosciuto il loro paese d’origine e la sua storia solo da lontano.
Igiaba Scego, di origini somale e cresciuta a Roma, è un’autrice che negli ultimi anni ha fatto sempre più sentire la sua voce nel panorama letterario italiano. Inizia la sua avventura di scrittrice da giovane, avida lettrice che frequentava la biblioteca di quartiere e la scuola pubblica per scoprirne i libri. Dai banchi di scuola al palco di Chiassoletteraria molte pubblicazioni hanno attraversato la sua vita. Nel 2003 esordisce col romanzo La nomade che amava Alfred Hitchcock. Negli anni successivi seguono altri romanzi, come ad esempio Oltre Babilonia (2008), La mia casa è dove sono (2010), e Adua (2015). Oltre a romanzi, l’autrice scrive anche racconti e cura raccolte che – come il resto della sua opera – sono di ispirazione autobiografica e trattano temi come la transculturalità e la migrazione.
Per quanto riguarda la genesi di Cassandra a Mogadiscio, l’autrice racconta che il romanzo è nato durante la stasi forzata causata dalla pandemia globale negli anni scorsi. Durante questo periodo, per motivi legati alla fragile salute della madre, le due sono diventate coinquiline. A partire da questa condivisione di tempi e spazi, Igiaba Scego inizia ad incuriosirsi e a porre domande alla madre. Inizialmente prevista come un’intervista per una rivista di narrazione orale, l’idea è poi mutata, dando vita all’ultimo romanzo dell’autrice. Nonostante la “timidezza” della madre a rispondere ad alcune domande della figlia, alla fine Scego è riuscita a farla parlare del grande trauma nascosto che l’ha colpita: la guerra trentennale che ha visto la Somalia e il suo popolo patire una grande sofferenza. L’autrice ha spiegato che ad un certo momento si è resa conto che la storia della sua hooyo (“mamma”) non era solo la sua storia, era la storia di una generazione intera, era la storia degli anni novanta, sia somali che italiani. È proprio da questa presa di coscienza che il romanzo inizia a prendere forma.
La sua scrittura prende poi una direzione dall’intento ancora più chiaro: quello di voler creare un ponte fra generazioni. La versione finale di Cassandra a Mogadiscio risulta frammentaria, a voler riflettere il modo in cui l’autrice è venuta a conoscenza di come sua madre e altre persone della sua famiglia hanno vissuto il trauma della guerra. Tale caratteristica assume ancora più importanza dal momento in cui Igiaba Scego introduce il pubblico al termine “jirro“. Di parole somale come questa il libro ne è costellato, e l’autrice racconta che la scelta di voler riportare con un alfabeto familiare agli italiani tali parole nasce da uno sforzo collettivo di traslitterazione, che ha operato con il fondamentale aiuto del fratello.
Dietro la lingua del libro c’è però qualcosa di ancora più potente: un intero processo di risignificazione che vede l’italiano, la lingua dei colonizzatori, una lingua violenta, una lingua che ha inflitto tanto dolore, venir adoperata da un popolo che in qualche modo l’ha fatta sua, trasformandola nella propria lingua, la lingua dell’indipendenza. L’italiano si presenta dunque come una lingua porosa, una lingua che si presta ad assorbire nuovi vocaboli e nuove declinazioni. L’italiano, dice la scrittrice, è in fondo una lingua plurale e della pluralità. Tramite il linguaggio presente nel romanzo, Scego ci ricorda dunque quanto la pluralità permei la nostra quotidianità in tutti i suoi aspetti.
Quella di Igiaba Scego è una grande lettura della contemporaneità inserita in un romanzo che la intreccia alle vicende di una famiglia somala “spezzettata” in tutto il mondo. Cassandra a Mogadiscio desidera costruire ponti, unire diverse dimensioni, sia spaziali che temporali, avvicinare diverse lingue e generazioni: è un romanzo che vuole cucire.