di Sofia Perissinotto
Nel corso della seconda giornata del festival si è tenuta la tavola rotonda Speciale Ucraina Oggi. La prima vittima di ogni è guerra è il pensiero.
Una tavola rotonda complessa, difficile da riassumere: pensieri e voci si sono intrecciati senza sosta, in una partitura densa, per oltre due ore.
La serata inizia con il saluto del coordinatore del festival, Marco Galli, che introduce soffermandosi sulla scelta del titolo. La vittima di ogni guerra sono le persone; ma quello che muore in ogni conflitto, nel tempo che lo precede e in quello in cui si realizza, è anche il pensiero: il pensiero critico, complesso, capace di stare nell’ascolto.
Questo incontro nasce dal desiderio di superare le narrazioni semplicistiche e faziose, che attraversano, senza sosta, i nostri giorni. Vuole darsi come un’occasione di analisi e riflessione condivisa, che rifiuta la logica dello schieramento a tutti i costi. Perché un altro mondo è possibile.
A dialogare sono Giulia Lami, professoressa ordinaria di Storia dell’Europa Orientale all’Università degli Studi di Milano, specialista di storia e cultura russa in epoca moderno-contemporanea; Moni Ovadia, cantante, musicista, attore, scrittore e attivista italiano; e Nello Scavo, reporter internazionale, corrispondente di guerra e cronista giudiziario. A condurre, la giornalista svizzera Francesca Campagiorni.
A dare il via, è la poesia.
La voce di Moni Ovadia accompagna il pubblico tra i versi del poeta bosniaco Abdulah Sidran.
La preghiera di Sarajevo
Ti supplico gran Dio, per la tua divinità,
togli dal mondo gli Animali!
Possa restare tutta intatta la specie dei gatti
la mia miseria possa restare,
però – togli gli Animali.
E non toccare la specie dei cani,
non toccare gli uccelli,
soltanto ti prego, Dio misericordioso –
togli gli Animali.
Togli gli Animali, dai declivi dei colli, toglili.
Togli gli Animali, ti scongiuro, Signore –
ma non toccarmi il maiale né il cinghiale,
non toccare l’usignolo, né il variopinto canterino di casa.
Non toccare nulla di ciò che è bello da guardare!
Non toccare nulla. Ma comunque togli gli Animali.
La formica non la toccare, e trascura il bestiame,
ma gli Animali – toglili.
Dove li hai collocati, di lì toglili.
Dai pendii, sovrastanti le città, toglili.
Dal mondo, dove li hai collocati, toglili.
Toglili, Signore,
e aiutali, Signore.
Nessuno, tranne te, li può aiutare.
Non c’è per loro posto o stanza in alcun luogo,
in questo e nell’altro mondo – casa né fondamenta.
Toglili, Signore
da questo e dall’altro mondo.
Allontanali,
e aiutali.
(Pentecoste, giugno 1992)
A iniziare la riflessione è Giulia Lami, che introduce al conflitto ucraino da un punto di vista storico. Si parla di come la storia del Paese sia strettamente intrecciata con quella russa, e come questo si rifletta anche sul piano del quotidiano. Da qui il ricordo di una delle riprese dei primi giorni, in cui alcune donne ucraine provano a fermare con le mani un mezzo militare, e gridano allo scandalo di quella che viene percepita come un’azione fratricida (e quale guerra non lo è?).
Direttamente sul fronte ci portano poi le parole di Nello Scavo, presente a Kiev già nei giorni immediatamente precedenti lo scoppio del conflitto. Reporter di guerra da lunga data, si trova per la prima volta ad assistere all’inquietante inizio di un conflitto. La guerra irrompe nella banalità del quotidiano, la stravolge, la lacera, la sporca: e così, tra le vie e nelle cantine, da un giorno all’altro, ai giovani viene insegnato come costruire le bombe Molotov.
Moni Ovadia continua e allarga il discorso, attaccando quel pensiero cieco e ottuso – le distorsioni dell’Occidente – che conduce a una visione parziale dei fatti, dei rapporti causa-effetto e di conseguenza dei conflitti.
La discussione convoca altre lotte e altri popoli – tra gli altri, i curdi, i palestinesi, gli ebrei – e la violenza, con i suoi meccanismi, sembra ovunque.
Se, come sottolinea Giulia Lami, siamo tutti figli di Caino che speranza c’è? Se non possiamo mai rettificare i torti, perché ogni colpa è figlia delle colpe precedenti, cosa possiamo? Come possiamo dire basta a questo Novecento che non passa mai?
I pensieri e le parole si incontrano, si rincorrono, si sovrappongono: il presente viene interpellato nella sua complessità, senza sconti e senza soluzioni.
Abbiamo aperto questa narrazione con la fuga degli animali non umani da questa terra. Decidiamo di chiuderla con un gesto di cura, un anatema alla violenza. Concludiamo così con un racconto, emerso durante la serata dalla testimonianza di Nello Scavo.
Lo curiamo noi. Un soldato russo, sul fronte, non può portare con sé il cellulare. Si trova così isolato, non ha modo di comunicare con casa, con i suoi affetti. Un giovanissimo soldato russo, come molti altri, nel corso del conflitto, resta solo in una terra diventata nemica. Viene accolto da una famiglia ucraina che decide di non consegnarlo, ma di proteggerlo, tenendolo nascosto. La madre ucraina, allora, prende il suo telefono, chiama la madre russa e – in russo – le dice: non preoccuparti, lo curiamo noi.