di Sofia Perissinotto
Sabato 14 maggio, presso lo Spazio Officina, si è tenuto un incontro filosofico dedicato all’oceano: a dialogare di mare, navigazione e alterità, insieme al filosofo e scrittore Bruno Pellegrino, Roberto Casati, presente al festival per presentare il suo nuovo lavoro Oceano. Una navigazione filosofica (Einaudi, 2022).
Roberto Casati è filosofo delle scienze cognitive e direttore di ricerca del CNRS all’Institut Nicod a Parigi. Nell’inverno 2016 ha attraversato l’Atlantico in barca a vela, inaugurando un progetto di ricerca “Cognition in the Wind”, sulla navigazione low tech; esperienza alla base del suo ultimo libro.
ll mare aperto è un deserto umano che non offre riparo dal sole, è senza ombre e senza odore, ha un colore indefinito e cangiante, è fatto di un’acqua che non si può bere, è in continuo movimento, è battuto da venti violenti che sollevano onde maestose – vere e proprie colline liquide che non aspettano altro che di crollare su se stesse -, è dominato da correnti alle quali non si può opporre forza, nasconde abissi perigliosi, ed è chiuso in ogni direzione da un orizzonte uniforme poverissimo di informazioni. Ci presenta una superficie paradossale su cui non ci possiamo incamminare ma che essendo priva di ostacoli ci lancia un invito irresistibile.
Se i deserti di sabbia e roccia sono ostili, il mare è alieno. Perché andarci?
Professor Casati, perché ha cercato l’oceano?
In realtà, questo è uno dei classici casi in cui è l’oceano che ha trovato me, perché io ho fatto di tutto per nascondermi. Sono nato qui vicino, ho vissuto a Monza per tutta la mia infanzia, adolescenza, giovinezza; quindi ho vissuto tra montagna e lago. Però, a un certo punto, non si sa come, sono finito di fronte all’oceano: non c’è stato più niente da fare.
In realtà, il passaggio è stato quello di voler fare un’attività complessa, con un percorso di apprendimento lungo. A me piacciono molto i percorsi di apprendimento lunghi: strumenti musicali, disegno, la disciplina accademica naturalmente, ma anche apprendimenti di tipo manuale. Imparare a navigare mi ha dato immediatamente soddisfazione perché ha un’immensa complessità intellettuale; bisogna avere un interesse teorico, un immenso piacere fisico e le due cose sono completamente legate una all’altra. L’oceano è lo spazio che non si può affrontare se non ci si va con una barca – ci sono naturalmente casi di persone che si sono lasciate derivare con un gommone attraverso l’oceano – , ma per poter padroneggiare l’oceano occorre saper padroneggiare una barca, che è come uno strumento musicale: richiede costruzione, amore, conoscenza.
All’inizio, quando si entra in quel circuito, le ricompense arrivano dopo molto tempo ma, a partire da un certo punto, cominciano ad essere immediate: si sale su una barca, ci si ritrova in mezzo al mare e si capisce che si è nati per quello.
Di seguito, l’intervista completa