di Arianna Limoncello
In un periodo segnato da restrizioni e imposizioni, ChiassoLetteraria si propone all’interno di Pianeta proibito di far luce, dedicandovi degli incontri, su una pagina buia del nostro passato, laddove restrizioni e imposizioni hanno segnato profondamente la vita di migliaia di persone.
L’incontro di questa mattina si apre con una lista di numeri. Tre sono gli autori sul palco per presentare i loro tre romanzi, uniti dal leitmotiv tematico della “Non-protezione”, o, in altre parole, delle misure coercitive a scopo assistenziale. Il moderatore Sebastian Marvin ricorda alla sala che queste misure sono state messe in atto fino al 1981, un altro numero che sancisce una distanza temporale la quale appare ampia e ristretta allo stesso tempo, un passato per certi versi remoto tuttavia ancora terribilmente recente. Il passato prossimo, nella sua accezione grammaticale, con cui si parla di quel periodo di storia del nostro paese acquisisce un significato ulteriore: è un passato che ancora incide sul presente, che è ancora scalfito nelle viscere di adulti che hanno solo pochi anni in più rispetto agli autori presenti oggi sul palco di Spazio Officina.
Le misure coercitive a scopo assistenziale hanno riguardato decine di migliaia di bambini, perlopiù orfani, figli di madri sole e bambini nati al di fuori del matrimonio: in generale persone ritenute un potenziale pericolo per la società. Prima di dare la parola ai tre autori, il moderatore ci riporta alla mente due date fondamentali nella narrazione della vicenda: la prima è il 2013, più precisamente l’11 aprile 2013, data in cui la Confederazione, attraverso la voce di Simonetta Sommaruga, in presenza delle associazioni che ebbero ruolo in questa vicenda, ha chiesto scusa alle vittime delle misure coercitive. La seconda data è rappresentata dal 2016, anno in cui viene emanata una legge il cui scopo è il riconoscimento e la riparazione dell’ingiustizia inflitta alle vittime di misure coercitive, un punto di arrivo ma anche un punto di partenza per cominciare a fare i conti con il passato. E la letteratura, come sappiamo noi frequentatori di ChiassoLetteraria, è un mezzo potente per fare i conti con il passato.
Si arriva dunque alla presentazione dei tre romanzi e dei tre relativi autori. L’aspetto numerico unisce pure i titoli delle opere presentate: Il mio nome era 125 di Matteo Beltrami, Per una fetta di mela secca di Begoña Feijóo Fariña e i troppi Silenzi che riempiono di il villaggio di montagna dipinto nel romanzo di Luca Brunoni. Tre romanzi che sono frutto di tre esperienze creative molto diverse. Per Matteo Beltrami si tratta del romanzo d’esordio, che germina a partire da una vicenda familiare. «Il protagonista della storia è mio padre» spiega Beltrami «il romanzo si basa su aneddoti storici che ho iniziato ad ascoltare quando ero piccolo. Mio padre, forse un po’ per condivisione, un po’ per dare delle spiegazioni, ha inziato presto a raccontarmi di questi fatti. Ha fatto parte quindi da sempre della mia identità.» Beltrami racconta di come nel 2017 abbia accompagnato il padre agli incontri dello sportello per l’ascolto di vittime di reati e abbia assistito per la prima volta alla verbalizzazione davanti ad un’autorità di quanto accadutogli. «Mi ha toccato, ascoltando gli aneddoti di mio padre, il fatto di conoscere un bambino irrimediabilmente ferito ancora molto vivo e presente» spiega Beltrami, «Ho deciso di provare a restituirgli una storia. Inizialmente doveva essere qualcosa di intimo, fra di noi, ma alla fine è diventato un libro.» Beltrami parla del processo compositivo come di un’esperienza forte: «Ho quasi vissuto un transfert, diventando mio padre da piccolo.»
Un’esperienza e una storia diverse sono quelle di Feijóo Fariña: Per una fetta di mela secca è infatti il suo quarto libro. Si tratta di un’opera di finzione ma con una collocazione geografica molto precisa, ovvero la Val Poschiavo. «È una storia di fantasia, ma contiene molti dettagli di storie realmente accadute, che ho sentito da interviste o che mi sono state raccontate» spiega Feijóo Fariña in merito alla genesi del suo romanzo, «Le ho messe tutte insieme per creare un’unica storia organica.» L’ambientazione del romanzo in Val Poschiavo si radica in due motivazioni principali. La prima, ci spiega l’autrice, riguarda la negazione da parte degli abitanti della valle a proposito delle misure coercitive a quelle latitudini: «Mi ero trasferita da poco in Val Poschiavo; parlando con persone che conoscevo, avevo accennato alle ricerche che stavo conducendo per la scrittura del libro e qualcuno mi aveva detto che dalle nostre parti quelle cose non accadevano. Ho provato ad allargare la ricerca e ho scoperto che in realtà era accaduto anche in Val Poschiavo. Ho deciso di ambientare il libro in quella zona per non permettere più a nessuno di dire che da noi non succedevano certe cose.» Il secondo motivo nasce dall’esperienza autobiografica dell’autrice: «Cavaione è l’ultimo pezzo di Svizzera annesso alla Svizzera. Io sono arrivata in Svizzera durante l’adolescenza e ricordo di aver idealizzato questo paese per anni. Scoprendo quanto era accaduto, ho visto il candore dell’idea che avevo di Svizzera macchiarsi, come d’inchiostro rosso.»
Per Luca Brunoni, infine, Silenzi è il secondo romanzo. Brunoni sceglie di partire, più che dalla tematica in sé, da un’ambientazione: la storia si svolge in un villaggio di cui non vengono specificati né il nome né la collocazione, e che viene perciò elevato a simbolo di tutti i villaggi di montagna (come suggerisce, tra l’altro, l’ultima frase del libro). Il romanzo di Brunoni si incentra sul punto di vista della bambina protagonista che viene strappata dal contesto cittadino di Berna e trasportata in un universo nuovo. Alla domanda sull’origine dell’interesse per la tematica delle misure coercitive, Brunoni risponde: «Sono sempre stato affascinato dagli angoli d’ombra della storia. Ho un background anche giudirico e tutto quello che viene agevolato negativamente dal diritto per me ha un impatto forte. Mi interessava approfondire la conoscenza della forza di una regola che incatena.» In merito al punto di vista, Brunoni spiega: «Mi interessava il fatto che questi bambini siano stati testimoni parziali di una nuova realtà perché vivevano in condizioni di non accesso alle informazioni, avevano un punto di vista limitato e non disponevano del quadro completo della realtà in cui venivano proiettati.»