di Sofia Perissinotto
Quando è stata l’ultima volta in cui hai dato corpo a un tuo desiderio profondo?
Si è aperta venerdì sera, ufficialmente, la nuova edizione di ChiassoLetteraria. La suggestione di fondo è quella del pianeta proibito; il desiderio comune è quello di abitare la crepa, invadere le fessure che proteggono paure e disattivano sogni, speranze, mutamenti.
A inaugurare è Leonardo Caffo, filosofo e saggista italiano, che nel libro presentato al festival Essere giovani: Racconto filosofico sul significato dell’adolescenza (Ponte alle Grazie, 2021) affonda lo sguardo nel presente e prova a sovvertire il pensiero tradizionale per immaginare un modo di vivere “altro”.
‹‹La filosofia si è occupata di tante cose, ma poco della gioventù›› spiega Caffo ‹‹gioventù che non ha a che fare con l’età biologica, ma che è intesa come uno stato, un modo di vivere che può attraversare i vari momenti dell’esistenza››.
‹‹Nel libro provo a difendere l’idea che è la prospettiva del giovane, dell’adolescente ciò che ci consegna il sapere›› continua ‹‹ho infatti pensato a un mondo dalla prospettiva di chi gioca e non di chi fa sul serio, di chi vive e non di chi pensa a come vivere››.
Pensata e indagata come condizione con tratti specifici, liberata dal dato biologico, la gioventù, nell’opera del filosofo catanese, può permettere così di immaginare nuovi modi e dare vita a nuovi mondi: liberando speranze, rompendo gli argini del consueto, ritornare nello stato di gioventù ‹‹che la costruzione capitalista concede in un unico e piccolo momento della vita›› permette ‹‹il passo in dietro che ci è richiesto in questo momento storico in cui ci siamo infilati››.
Nel tuo saggio definisci la gioventù, anche, come ‹‹una forma di politica››. Qual è l’aspetto più rivoluzionario, più sovversivo della gioventù?
L’aspetto sovversivo è semplicemente quello di ricominciare a desiderare. Desiderare davvero. E anche quello di dare corpo ai desideri. Noi, per la maggior parte, siamo attraversati da desideri a cui non diamo mai ascolto, li teniamo dentro e così diventano perversioni, problemi, diventano sogni, diventano incubi; perché non li scateniamo quasi mai. Prima una signora, che avrà avuto una sessantina d’anni, a cui ho firmato il libro, mi ha detto: “guardi, mi è venuto da piangere, perché l’ultima volta in cui ho desiderato è stata quando ho avuto ventiquattro anni”. Ora ha sessant’anni: significa che si è fatta più di trent’anni senza desiderare e dare corpo ai desideri. Questo è abbastanza grave, ed è questo che genera la rivoluzione. In realtà, le grandi rivoluzioni anche recenti, il Sessantotto, gli anni Settanta o la rivoluzione femminista, sono state rivoluzioni del desiderio.
In che modo la tua ricerca interpella il corpo?
Noi abbiamo completamente rimosso il corpo da tutte le nostre attività (quando non lo releghiamo a cose estetiche, come lo sport). La gioventù è l’ultimo momento in cui il tuo desiderio può anche essere legato all’istinto corporale, al desiderio di corpo: di saltare, di fare l’amore, di picchiare qualcuno, di sdraiarti in un prato all’improvviso, di fare il bagno di notte. Dopo, la maggior parte dei desideri comporta una divisione totale tra il corpo e la mente, i desideri vengono completamente sublimati, non vengono mai tradotti corporalmente. Se io, in sala, avessi chiesto, soprattutto alle signore, “quand’è l’ultima volta che avete avuto un orgasmo?” credo che sarebbe calato il gelo. Eppure non dovrebbe essere un rimosso (in questo caso, tra l’altro, lo è meno dal punto di vista maschile, ma qui c’è tutta la questione del genere). Rimuovere il corpo e rimuovere la gioventù è una cosa molto simile: ai ragazzi è concesso essere corporali, sudare…dopo, invece, sei tutto mente.
Riappropriarsi del corpo, dunque, può significare un sacco di cose: perché noi pensiamo che una vecchia sia ridicola se va in giro con l’ombelico scoperto? Il corpo non significa solo bellezza (canonizzata, poi), ma può essere brutto, deforme. Se noi fossimo liberi, inoltre, non ci sarebbe nemmeno questo discorso della bellezza e della deformità.
Essere giovani: Racconto filosofico sul significato dell’adolescenza è stato definito un testo inconsueto, che combina il pensiero filosofico con l’aneddoto autobiografico. A chi pensa, a chi vuole parlare?
Grazie per la domanda; io vorrei parlare a chi giovane non si sente più, ma in realtà anche a chi ancora giovane lo è, o a chi sente che la gioventù sta finendo. Io vorrei semplicemente – ed è la ragione per cui nel testo ci sono anche tante cose autobiografiche – parlare a quell’umanità che pensa che vivere significhi sopravvivere: non importa come vivi, ti mascheri, quello che è importante è che tu sopravvivi un giorno in più. Ma se facciamo questa vita qua, non è meglio rischiare di vivere? Come facciamo tutti quado siamo giovani. Vivi, ti assumi il rischio, ma quel rischio ha a che fare con la vita, con l’avanzamento. Noi, poi, questo rischio ce lo siamo completamente tolto. Il mio è un voler parlare a tutti, dicendo che la vita è diversa dalla sopravvivenza.
Nella tua ricerca da un lato liberi la gioventù dal dato biologico, dall’altro mantieni la relazione con il periodo dell’adolescenza. La gioventù, così come la descrivi, esiste veramente? L’hai mai vissuta?
Sì, io l’ho vissuta. Ma nel mio caso non è mai coincisa con l’età biologica, si può coltivare di continuo. Il problema è che quando non c’è una comunità che ti segue, la gioventù viene vista come una forma di follia, viene repressa. Tu non puoi scatenare il desiderio, scatenare la gioventù quando sei il solo a farlo perché dall’altra parte vieni visto come il mostruoso, come il perturbante. Questa gioventù c’è e per un periodo piccolo, secondo me, l’abbiamo vissuta in tanti. Poi a compartimenti stagni siamo come i personaggi del libro di Pasolini, Ragazzi di vita, che scompaiono mentre invecchiano. E allora resti solo tu e scompari anche tu. Liberarsi dalle sovrastrutture è pesante, invita a un gesto di coraggio profondo che è il gesto del bambino, che si avvicina all’altro bambino, e senza conoscerlo gli dà un bacio. Perché non ci accarezziamo più, spontaneamente? Perché non ci scambiamo più le scarpe come all’asilo? Questa cosa poi scompare, ma non si capisce bene perché. Scompare. Non c’è una ragione per cui scompare.
O forse ce ne sono troppe?
O forse ce ne sono troppe.