Di Rossana Tanzi
Domenica mattina, ore 11, e un vento che soffia gelido e implacabile: le premesse non erano delle migliori ma la sala è gremita.
Si entra subito nel merito con l’introduzione di Bettina Müller. Gabriele Del Grande è qui per presentare il suo libro Dawla. La storia dello Stato islamico raccontata dai suoi disertori (Mondadori, 2018), un reportage narrato alla scoperta dell’ISIS dal punto di vista dei carnefici, scritto con dopo un enorme lavoro di ricerca e grazie alle testimonianze degli ex-jiadisti che ha incontrato durante i suoi lunghi viaggi in medio oriente, e in particolare in Turchia.
Dick Marty invece è noto al pubblico ticinese: ex procuratore pubblico, il suo ultimo libro è Une certaine idée de la justice, che sarà prossimamente edito anche in italiano per Casagrande, in cui si è occupato dei voli segreti della CIA e delle loro prigioni segrete.
Partiamo dallo Stato Islamico oggi: che ne è dell’ISIS dopo la sconfitta militare? Questo l’importante primo quesito a cui gli ospiti cercano di dare risposta.
Per Gabriele Del Grande “Siamo al punto di partenza. C’è stata una sconfitta militare sul campo, ma questo si traduce solo con il fatto che i jiadisti non controllano più nessun territorio. Ci sono ancora 30’000 uomini che aderiscono all’organizzazione, le prigioni sono riempite di prigionieri di guerra che non si sono mai pentiti. Non dimentichiamo che Al-Quaida era stata data per sconfitta prima di risorgere come Stato Islamico! Oggi ci troviamo in un momento simile. La questione,racconta al pubblico di Chiasso, non è più soltanto siriana o iraquena, ma il Dawla, lo stato islamico, è un brand forte ed esportabile in tutto il mondo (basti pensare al sanguinosissimo attentato della Pasqua scorsa in Sri Lanka), che aspetta lo scoppio di un nuovo conflitto per tornare ad affermarsi. Quindi io nel futuro prossimo mi aspetto una serie di attentati per tenere viva l’idea che lo Stato Islamico sia il modello jiadista più forte. Gli attentati che stiamo vedendo, a eccezione dei lupi solitari, necessitano per forza di cose di esperienza a livello militare e strategico, di insospettabili che pianificano, forniscono materiale e poi spariscono nel nulla. Questo sarebbe il nocciolo della questione: capire la catena di comando.”
Per Dick Marty la soluzione al problema presente, quello del terrorismo islamico, deve venire da una comprensione del passato:
La CIA ha un budget colossale dedicato all’influenza dell’opinione pubblica, ma per capire bene quello che sta succedendo non si può fare a meno di guardare alla storia. Tendiamo a vedere le cose nella loro immediatezza, senza vedere il processo globale. Non dimentichiamo che se esiste uno stato islamico è perché c’è stata la guerra in Iraq nel 2003, tra l’altro fondata su una serie di falsità. Per combattere i fenomeni bisogna conoscerli e soprattutto capirne le cause. Solo così potremo combattere efficacemente il terrorismo. Quella del medio oriente è una storia molto complessa e purtroppo dimenticata, che comincia almeno nel 19esimo secolo, costruita su una serie di umiliazioni di cui ora paghiamo il conto.
Mi inquieta la passività del mondo occidentale nei confronti dell’Arabia Saudita, in cui sappiamo esserci famiglie che hanno operato come mecenati del terrorismo. Al tempo stesso è noto che l’Iran non ha avuto parte agli attentati terroristici. Gli Stati Uniti invece ci raccontano l’Iran come una terra di terroristi e non parlano dell’Arabia Saudita. In questa confusione i terroristi ci stanno sguazzando!
Colgo l’occasione per dire che ci sono dei criminali di guerra, altrettanto responsabili di quelli che ben conosciamo, che sono i commercianti d’armi. Si sono arricchiti su questo commercio disgustoso e trovo ridicolo che in Svizzera ci sia ancora chi si batte per il libero commercio di armi a ripetizione che non hanno nulla a che vedere con lo sport o la caccia.
Questo primo “botta e risposta” dà un assaggio dello spessore dei due interlocutori, e la discussione continua per quasi due ore senza che si perdano la tensione e l’attenzione che Marty e Del Grande sanno focalizzare.
Si parla del ruolo dell’occidente, dei foreign fighters, della decisione di scrivere una testimonianza della violenza di queste guerre da un lato (Del Grande), e delle responsabilità impunite dell’antiterrorismo dall’altro (Marty).
In chiusura, Dick Marty cita l’inquietante somiglianza tra le dinamiche degli anni 20 e 30 in Europa, e quello che il mondo sta attraversando negli ultimi anni.
Io trovo che ci sono delle similitudini forti: il fatto di criminalizzare il diverso, lo straniero, il migrante; il nazionalismo e il “prima i nostri”. E adesso come allora ci sono degli individui che stanno conquistando i favori del pubblico: Trump, Duterte, Orban, … e non cito qualcuno in Italia ma sappiamo tutti a chi penso. Questi personaggi ora come allora si possono affermare grazie a un’opposizione politica inefficace, ma soprattutto a causa dell’indifferenza dei più.
Ci lasciamo con una citazione di Martin Luther King: “Il pericolo non è dato dai nostri nemici cattivi ma dai nostri amici indifferenti.”
La sera prima dell’incontro con Dick Marty, che è stato denso e molto intenso, siamo riusciti a scambiare due chiacchiere con Gabriele Del Grande davanti a un bicchiere di vino. Si parla di esperienze di vita, delle differenze tra i paesi latini e il nord Europa – Del Grande vive ad Atene da tre anni ormai, con la sua compagna da cui ha avuto tre bambini, e l’ambiente mediterraneo gli si addice molto di più dell’Inghilterra, dove viveva prima. Gli raccontiamo della Svizzera, delle nostre contraddizioni, e della nostra democrazia diretta che ci porta a votare ogni 4 mesi, persino su questioni particolari come il taglio delle corna delle mucche. “Ci sarebbe materiale per girare un film!” scherza lui. Il discorso passa poi al suo ultimo libro, alle sue esperienze in medio oriente ma anche alla genesi del docufilm “Io sto con la sposa”, la storia vera e girata in presa diretta di come è riuscito a far emigrare un gruppo di amici dall’Italia alla Svezia camuffandosi da corteo nuziale. “È stata un’esperienza pazzesca: l’idea è nata come boutade, a una cena tra amici. Svegliandoci il giorno dopo ci siamo detti: “perché no!” e così siamo partiti, il più in fretta possibile, anche perché più passava il tempo e più ci rendevamo conto che era una follia.” Per fortuna è andato tutto per il meglio, e il film ha fatto il giro delle sale cinematografiche di mezzo mondo: “Siamo stati in oltre 50 paesi!” ci dice con orgoglio.
Del Grande è autore oltre che di Dawlaanche di varie pubblicazioni sul tema del Mediterraneo e nel 2006 ha fondato l’osservatorio sulle vittime delle migrazioni Fortress Europe. Gli chiediamo allora di tirare qualche somma sulla sua attività giornalistica e artistica e più in generale sulla sua vita:
L’interesse iniziale era per le storie, per l’umano, ma in particolare quando ho iniziato avevo un’attenzione per il Mediterraneo e per le migrazioni. Poi sono successe una serie di cose nei paesi in cui stavo lavorando, le primavere arabe, le varie guerre, in Siria eccetera… e da lì sono partito.
Un’ultima domanda è d’obbligo: quale Mondo Nuovo può immaginare Del Grande, che grazie al suo lavoro di mondi – anche molto diversi – ne ha visti e vissuti parecchi?
“Per uno che fa il mio lavoro, più che un mondo nuovo si potrebbe parlare di uno sguardo nuovo, nel senso che uno stesso mondo lo puoi raccontare in modi diversi. Il bello è proprio quello, puoi cercare sguardi nuovi, o narrazioni marginali che tieni in vita costruendoci un racconto sopra, o narrazioni minoritarie che provi a far diventare egemoni, o – come in questo mio libro – puoi raccontare dei pezzi di mondo di cui non c’è ancora una narrazione. Non posso parlarti di futurismo, o del mondo che sarà, che non ho idea di come sarà, ma per me c’è l’idea di creare un racconto nuovo del mondo. Fino a quando non le racconti, certe cose non esistono. Al di là dell’esperienza diretta, tutto esiste solo attraverso un racconto. Quindi un mondo nuovo per me significa un racconto nuovo. Che poi vale anche per il futuro: un mondo nuovo finché non te lo immagini non puoi neanche provare a inseguirlo. Il potere della letteratura è questo, criticare o smontare una narrazione che è data per scontata e quindi provare poi a creare un Mondo Nuovo.”