Di Alessandro Moro
Non è una semplice immersione nella storia della letteratura distopica quella che ieri sera ci è stata offerta da Chiara Codecà, o una mera carrellata di opere significative legate alle vincende di tale genere letterario. Certo, la scrittrice, consulente editoriale e traduttrice letteraria, specializzata in letteratura fantasy e per ragazzi, ci ha accompagnato in un affascinante viaggio dagli albori del genere sino ai nostri giorni, citando numerosissime opere e ricostruendo con chiarezza la genesi, lo sviluppo e infine gli esiti più recenti del distopico (da classici indiscussi come Il mondo nuovo, 1984, Fahrenheit 451, Il signore delle mosche, a best seller freschi di stampa come Hunger games, Berlin, Half wild, Divergent, Ink, un percorso che segna un cambiamento di paradigma evidente). Ma Chiara Codecà ha cercato di fare qualcosa di più: affondare direttamente nel cuore dell’esperienza letteraria distopica e spiegare il paradossale magnetismo esercitato da queste opere: perché leggiamo distopico? Perché sentiamo l’urgenza di intravedere o sbirciare il futuro che non vogliamo? Questi interrogativi sono rimasti sottesi all’intera riflessione, fornendo un’entrata in materia perfetta per un’edizione di Chiassolettereria dedicata al tema del Mondo Nuovo, dall’ominimo romanzo di Aldous Huxley del 1932.
Chiara Codecà ci ha invitato quindi a non cedere alla tentazione di considerare la letteratura distopica, fantascientifica o fantasy una forma di evasione dalla realtà. A non sottovalutarla. Poiché i mondi o gli universi paralleli evocati da questi libri, per quanto immaginari o comunque ipotetici, rispondono all’urgenza di interrogarsi sul presente, di sottoporre le contraddizioni del mondo contemporaneo alla capacità di smascheramento che distingue la parola letteraria. Portando a estreme conseguenze le derive sociali, politiche o esistenziali che caratterizzano il nostro mondo, la letteratura distopica intende raccontarci il nostro tempo: «La distopia», ci aiuta a capire Chiara Codecà, «è anche testimonianza». Ed è forse in questo aspetto che risiede il potere della letteratura distopica: ambientare storie nel futuro per fotografare il presente, quasi avessimo bisogno di vederci attraverso questo filtro deformante per diventare maggiormente consapevoli di noi stessi. In quest’ottica la letteratura può diventare la forza propulsiva per diventare padroni del proprio destino, quella che Chiara Codecà, concludendo il suo intervento, definisce «un’attività di resistenza civile».
Alla fine dell’incontro abbiamo scambiato alcune parole con lei per tornare su alcune questioni e approfondirne altre.
Perché in quest’epoca ci parla di più la distopia letteraria dell’utopia? Perché preferiamo rapportarci mediante degli anti-modelli, e definire il nostro futuro identificando prima di tutto ciò che non vogliamo essere?
Da una parte la distopia è presente in ambito letterario già a a cavallo delle due guerre mondiali. Non è solo una moda di oggi: questa paura del domani l’avevano gli scrittori che scrivevano negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta. Vedevano la loro contemporaneità, ne coglievano le pulsioni peggiori e temevano come sarebbe potuta diventare. Dall’altra parte oggi viviamo nella realtà post 11 settembre, e dopo questa data il mondo è molto meno positivista di quello che l’ha preceduto. Lo possiamo quantificare guardando il tipo di storie pubblicate: più libri distopici, meno fantasy e space opera (la space opera è in sostanza la fantascienza delle navi spaziali, che con uno sguardo tendenzialmente positivo sulla tecnologia dipinge un futuro in cui questi strumenti tecnologici possono essere utilizzati a vantaggio di tutti). Nel distopico la tecnologia è invece spesso qualcosa da temere, in quanto controllata da altri. In un’epoca come quella di oggi, dove la cospirazione o il cospirazionismo vanno per la maggiore, questa paura dell’utilizzo di un sapere o di tecnologie che tu non hai da parte di terze parti è molto diffusa.
Il genere distopico è riesploso in tempi recenti. Il distopico conserva la sua carica profetica e la sua capacità di interrogarsi sul presente, o l’alto grado di codificazione e la sovraproduzione ne hanno depotenziato la forza?
Mi piace molto il termine ‘profetico’ per definire la forza del genere. Dipende dallo scrittore che hai davanti. La letteratura si categorizza attraverso il genere per sapere come disporla sugli scaffali. Però in realtà, all’interno dello stesso genere, la qualità oscilla tra grandissimi estremi. Quindi questa potenza narrativa, questa capacità di incidere sul presente, di cogliere qualcosa di urgente, non c’è in tutti i libri di distopico. Può tuttavia emergere domani nel libro di uno scrittore che oggi non conosciamo, e presentare quella capacità tecnica, quell’investimento personale e anche quella visionarietà, tanto per restare sul profetismo, che ti prendono per mano come lettore e che ti costringono a vedere un certo tipo di problema.
Il genere distopico sta forse avendo un’impatto maggiore al di fuori del mondo cartaceo, attraverso cinema e serie tv? Come ha cambiato le carte in tavola l’irruzione di altre forme di narrazione, anche seriali?
La traspozione di un testo dalla carta stampata a grande o piccolo schermo ha sempre un certo vantaggio: se è fatto bene ha il potere del mass media dalla sua. Il film arriva laddove il libro a volte non necessariamente arriva, perché è più accessibile ed ha un potere pervasivo sulle masse che il libro non ha. Lo vediamo per esempio con la saga cinematrografica Il signore degli anelli, che ha reinventato un pubblico per un libro che era uscito nel 1954. I film oggi hanno due vantaggi: da una parte raggiungono un pubblico sempre più ampio, dall’altro raccontano storie che hanno un grosso appeal per buona parte di questo pubblico, anche perché spesso sono una forma di difesa contro le paure personali. Non tutti la penseranno così, ma io sono abbastanza convinta che una parte del pubblico che guarda Il racconto dell’ancella (The Handmaid’s Tale), lo faccia anche per esorcizzare il terribile dubbio che non sia una storia così lontana dalla realtà.
Che mondo dipinge la letteratura distopica d’oggi? Quale è il mondo nuovo che si prospetta?
Posso dirti quali sono i temi che più di tutti vengono messi al centro nel distopico contemporaneo: l’affermazione di sé, il femminismo e l’identità di genere (che non sono la stessa cosa). Questo è quello che soprattuto in ambito anglosassone e americano è al centro dell’attenzione oggi. Attualmente sembra esserci nella società americana una deriva conservatrice e tendenzialmente oscurantista nei confronti dei diritti donne, tale per cui molte scrittrici americane sentono la necessità e il dolore di scriverne.