Di Rossana Tanzi
La schiera dei grandi nomi di passaggio a Chiasso Letteraria quest’anno può annoverare tra le sue gemme più fulgide anche Basma Abdel Aziz, ed è un grande onore per noi poterla intervistare prima del suo incontro con il pubblico.
Basma è scrittrice e artista: delle numerose sue pubblicazioni in arabo, solo il romanzo La filaè stato ad oggi tradotto in italiano. È però anche una psichiatra, che attualmente lavora per una ONG che si occupa di riabilitazione delle vittime di tortura.
È soprannominata “la Ribelle”: il suo operato da attivista per i diritti umani attraversa trasversalmente tutta la sua vita, dalla psichiatria alla produzione letteraria, alla saggistica (citiamo il suo studio sociologico della violenza attuata dalla polizia, Temptation of Absolute Power). Con questo suo attivismo si è guadagnata da una parte numerosi riconoscimenti internazionali, è anche nominata tra i Leading Global Thinkers da Foreign Policy nel 2016; d’altro canto questo le ha causato diverse incarcerazioni da parte del governo.
Nel romanzo La fila (edito per Nero Edizioni nel 2018), un gruppo eterogeneo di persone, rappresentative di ogni condizione umana e ceto sociale, si ritrovano insieme ad aspettare perpetuamente davanti a una “Porta”, il simbolo di un potere autoritario e inaccessibile. Questa porta sembra non doversi aprire mai, e le dinamiche del gruppo si modificano con l’attesa, tra colpi di scena e momenti di profonda umanità: una metafora forte per rappresentare la condizione che l’Egitto sta attraversando dalla primavera araba ad oggi.
Per la nostra intervista partiamo proprio dal suo romanzo La Fila. Le vicende si svolgono in un panorama distopico, in una città senza nome: non ci sono precisi riferimenti al Cairo, ma è facile leggerci un’analisi della situazione politica e sociale dell’Egitto contemporaneo.
Il libro è stato pubblicato in arabo nel 2013, poco dopo i disordini di piazza Tahrir, ma prima dell’ascesa al potere dell’attuale capo di stato, Al-Sisi.
L’edizione italiana è invece fresca di stampa: le chiedo, se questo libro lo avesse scritto oggi, sarebbe cambiato qualcosa?
In realtà se dovessi immaginare di riscrivere La fila ora, non cambierei proprio nulla. Durante il movimento rivoluzionario che ha avuto inizio nel gennaio del 2011 avevamo delle speranze, degli slogan per la nostra rivoluzione: libertà, dignità, giustizia sociale… ma queste speranze non si sono ancora concretizzate, e stiamo continuando a lottare per questi stessi ideali. Quindi avrei riscritto lo stesso identico libro, perché nulla è cambiato negli anni. Anzi, va sempre peggio! La situazione sociale ed economica si sta deteriorando, e dopo la svalutazione della moneta egiziana la middle classsta scivolando sotto la soglia della povertà, la gente viene arrestata e imprigionata sempre più frequentemente, viene sempre di più sottoposta a torture e stiamo davvero aspettando in eterno davanti a questa “Porta” chiusa di cui parlo ne La fila.
Quanto è presente nel romanzo la sua esperienza professionale come psichiatra?
Penso che studiare psichiatria e in particolare psicologia mi ha dato uno strumento veramente potente per capire davvero l’essere umano e il suo comportamento, per capire perché una persona fa determinate cose, e si comporta in un determinato modo. In tutti i miei scritti emerge una componente psicologica. Ne La fila in particolare si può capire dalle domande che invito il lettore a porsi: perché queste persone aspettano senza fine davanti a un simbolo di autorità? Perché non urlano, non si ribellano? Perché non se ne vanno? Queste sono le domande che invito a porsi, ma non ho voluto fornire risposte, perché voglio che i lettori riflettano con me, per trovare la loro risposta, senza dare una risposta unica.
“Tareq era un uomo che non oltrepassava i confini. (…) non aveva mai avuto esigenze né problemi, anzi, la sua vita era sempre scorsa in un flusso ordinato e prevedibile.” Questa descrizione compare all’inizio del libro, anche se poi Tareq sarà chiamato a decidere se disobbedire alla legge per salvare una vita. Questa idea di “normalità”, del farsi gli affari propri per non avere problemi, quanto è presente nell’Egitto di oggi?
Tareq è una persona “normale”, ordinaria, non un dissidente politico o un oppositore. Cerca di vivere la sua vita in pace, senza mai dire no all’autorità e ai suoi decreti e regole. Questo però non lo ha portato alla pace interiore, perché nel romanzo lo vediamo soffrire di un dissidio interiore tra il suo dovere come medico, salvando la vita di un paziente, e la sua obbedienza alle regole e alle decisioni dell’autorità. Questo atteggiamento che troviamo in Tareq, al giorno d’oggi è molto molto diffuso. Tutti vogliono vivere in pace, evitando problemi con le autorità, e questo perché le conseguenze sono troppo pesanti da sopportare, perché la libertà di parola è stata seppellita. Possiamo dire che questo atteggiamento è veramente molto diffuso, ma non penso che sia la soluzione.
Nella sua vita ha dovuto venire a patti con lo stesso dissidio: come si può scegliere tra il fare la cosa giusta e l’essere al sicuro?
Lasciami dire che poco dopo aver finito gli studi in psichiatria avrei potuto ottenere un posto molto importante al dipartimento della salute dell’Università, ma i servizi segreti egiziani mi hanno impedito di ricoprire quella carica, quindi ho scelto la mia via sin dall’inizio, e ho deciso che farò quello che penso sia vero, quello in cui credo, e non ciò che mi permetterebbe di vivere in pace con l’autorità o di non essere punita. È stata una decisione molto precoce nella mia vita, e subito dopo questo evento ho cominciato a lavorare con un’ONG per la riabilitazione delle vittime di tortura, e continuo ancora oggi in questa direzione.
Pensa ancora che ne valga la pena? Riesce ancora ad avere una visione ottimistica del mondo?
Si, sono molto ottimista. Continuo a lottare contro l’autoritarismo e la repressione e credo che il cambiamento sia un processo lungo, che non si può raggiungere in qualche giorno, e nemmeno in qualche anno, ma una volta che il processo è iniziato non lo si può arrestare. Quindi si, sono ottimista, continuo a lottare e non mi arrendo mai.
Il tema del festival quest’anno è il “Mondo Nuovo”, che in inglese viene tradotto come “Brave New World”, un “magnifico” mondo nuovo, un nuovo mondo coraggioso. Qual è la sua idea di mondo nuovo?
Un “magnifico mondo nuovo” per me deve essere un nuovo mondo all’interno di ognuno di noi: quando siamo convinti di poter creare un nuovo mondo coraggioso e forte, allora possiamo davvero farlo. Riguarda le nostre credenze, quello in cui crediamo, e anche se ovunque, nel mondo, possiamo incontrare repressione, follia, fake news e bugie, possiamo anche incontrare uomini e donne che resistono, che cercano di creare questo “brave new world”.
Dall’Egitto a Chiasso, una città molto più piccola e decisamente più tranquilla, un contesto sociale e politico completamente diverso. Quale pensa possa essere l’impatto del suo libro su questo pubblico così diverso? Ci sono dei valori esportabili?
Si, nel mio libro non menziono nulla che possa ricondurre a un luogo o a un momento nel tempo, proprio perché tutti si possano riconoscere in questa eterna attesa, nella sottomissione a un governo autoritario. Questa situazione potrebbe succedere ovunque, e spero che le persone, dappertutto nel mondo, possano immedesimarsi. Anche se non sono governati da un totalitarismo. In realtà è davvero quello che succede, perché vedo reazioni al mio libro legate all’esperienza personale del singolo, alla sua cultura: negli Stati Uniti per esempio si pensa molto a fake news e menzogne, soprattutto in rapporto con l’amministrazione Trump. Chiunque può leggere e interpretare questo libro alla sua maniera, io sono ancora qui e posso parlarne con chi lo ha letto.
Dopo l’intervista, l’incontro con il pubblico: la sala è gremita e l’emozione è palpabile ancor prima della sua salita sul palco.
Basma è minuta, porta i capelli corti e affonda in un maglione a righe: “sembra uno scricciolo”, osserva qualcuno, “non me la immaginavo così piccina” …eppure non appena inizia a parlare ci rendiamo conto tutti della sua statura artistica e personale.
Ascoltiamo dei brani dal romanzo La fila, in arabo dapprima, a farsi cullare dal ritmo di parole a noi incomprensibili, e in italiano poi, grazie alla lettura di Romana Manzoni Agliati, traduttrice di questo incontro.
Il suo interlocutore stasera, Jürg Bischoff (già corrispondente dal Medio Oriente della NZZ e delegato CICR), la incalza a parlare degli influssi che la rivoluzione ha sulla sua scrittura: lei scivola tra le domande, ci racconta dell’urgenza di scrivere questo romanzo, a cui ha lavorato “10 ore al giorno per 2 mesi”. Racconta del rapporto tra romanzo e realtà egiziana:
“La fila ha in sé un forte potere rivoluzionario, anche se l’entusiasmo di una piccola parte della fila che decide di ribellarsi viene spento dalla maggioranza silenziosa che ha paura e si oppone al cambiamento. Solo quando le persone prenderanno coscienza del potere rivoluzionario che hanno, potranno finalmente buttare giù la porta.
Quel che raccontavo nel libro si è poi rivelato una sorta di profezia, e in molti mi hanno chiesto come avevo fatto a predire questo sviluppo della nostra società. In realtà sentivo che i militari sarebbero tornati al potere, e che il fuoco della rivoluzione era destinato in qualche modo a spegnersi:la mano forte che aveva governato il paese per decenni, mi sono detta, non avrebbe potuto essere spazzato via con pochi mesi di rivolta.”
E poi ci confessa che le case editrici hanno vita difficile in Egitto:
Ci sono scrittori ed editori che sono oggi incarcerati, per il solo fatto di aver scritto o pubblicato un libro. La censura è sempre più agguerrita: si ha paura di pubblicare libri.
Le viene chiesto se le sia mai capitato di cedere alla paura delle conseguenze delle sue azioni, e dove trova il coraggio di continuare a scrivere, e lei è implacabile:
“La paura è un istinto fondamentale, ma la differenza sta nel come noi reagiamo. A volte ci immobilizza, a volte ci spinge a diventare migliori. Abbiamo paura di ciò che ignoriamo, ma se conosciamo, se siamo informati su quel che ci spaventa, troviamo la forza per superare queste paure.
Io so bene cosa potrebbe succedermi, scrivendo ciò che scrivo, ma ho una causa per cui combattere e continuerò a scrivere e a lottare indipendentemente dal prezzo che dovrò pagare.”
Chiudiamo parafrasando le parole di Marco Galli: da tutti noi, di cuore, grazie a Basma, piccola grande donna coraggiosa.