Questa mattina, accanto al caffè, c’è una pila di libri, quelli in cui mi sono immersa in questi giorni di festival, quelli che ho tenuto stretti fra le mani prima di andare a fare qualche domanda alle autrici, agli autori. Nel mio quaderno degli appunti – compagno fedele, pagina bianca senza righe – si sono depositate le parole delle scrittrici, degli scrittori; persone con orizzonti diversi, ma accomunate dalla voglia di parlare con il pubblico, di farsi capire. Mi piace dire che Chiasso Letteraria è uno di quegli eventi che si segna sull’agenda, uno di quelli a cui non mancare – per me è così, e credo lo sia anche per gli altri. Mia madre, appassionata lettrice, mi ci ha portata la prima volta, e da lì non si è più trattato di accompagnarla, ma di andarci insieme. È qualcosa che può sembrare scontato, niente di straordinario, ma in questi tre giorni non ho potuto fare a meno di notare che è questo ciò che accade: le persone entrano in contatto, anche solo per un momento, nell’attesa prima dell’inizio della conferenza, dello spettacolo, del concerto. Si sta insieme.
Grazie a Manuela quest’anno ho avuto l’occasione di entrare dentro il festival, e Chiasso Letteraria – come potrete immaginare – non respinge, non esclude, non si nasconde. Piuttosto accoglie: le voci degli autori, le pagine dei loro libri, la parola del pubblico, l’amore per la letteratura, la musica, il teatro. C’è una vita che si muove nei contorni di Chiasso Letteraria, fatta di quelli che si occupano di organizzare, di fotografare, di coordinare questi giorni intensi – che si occupa di far funzionare questa manifestazione: più che una macchina con ingranaggi, è argilla modellata da tante mani. Con questa edizione il festival aveva una sfida in più: essere aperto e generoso anche con i tabù, allentare i propri confini e parlare dei temi che vengono taciuti, quelli di cui si ha paura o vergogna, e direi che ha raggiunto l’obbiettivo. Ha tolto la maschera ai divieti. Ha scelto libri di valore, capaci di raccontarci quello che accade fuori – fuori dalla finestra della casa di qualcun altro, lontano da noi geograficamente o linguisticamente – senza dimenticarsi al tempo stesso di dirci del mondo dentro, dell’interiorità. Non posso non riferirmi ad esempio a Istanbul, Istanbul, uno scritto che parla di tortura e di parola salvifica, di cui ci ha parlato lo scrittore turco Burhan Sönmez, quasi con distanza, come se l’ allontanamento fosse l’unico modo, necessario e crudo, per resistere di fronte alla situazione attuale della Turchia.
Chi scrive mette radici, affonda, e inizia a nutrire un terreno che nel momento in cui si fa racconto diventa collettivo, arte condivisa, parola messa lì perché da lì si possa crescere. La letteratura – si sa – non ama la superficie: non passa sopra le vicende umane, siano esse familiari, come quelle di cui ci hanno parlato le tre scrittrici svizzere ieri pomeriggio, o implicate nella Storia, quella che ancora ci appare offuscata dalle informazioni che riceviamo, perché troppo spesso lì non abbiamo il corpo, l’umano, il sentimento. Chiasso Letteraria s’inserisce perfettamente in questa linea di pensiero, confermandosi come un momento d’invito ad andare un po’ più in là e un po’ più a fondo, oltre i nostri confini.
Attraversare la letteratura vuol dire sapere che non si può uscirne indenni, ma se ad accompagnarci ci sono queste voci, questi libri, allora: «Arrivederci all’anno prossimo».
Mara Travella