Ho arrestato per qualche giorno la mia corsa. Non è stata la necessità di riposo a spingermi a fermarmi, ma piuttosto il desiderio di ascoltare quello che avete da dire, qui a Chiasso Letteraria, sull’esilio. Confabulate da tempo a proposito di questo festival, degli autori che saranno presenti, delle conferenze e degli eventi a cui si potrà assistere, tutto volto ad analizzare il tema dell’esilio. Lo ritenevo estremamente presuntuoso da parte vostra, cercare di studiare una situazione che non vi riguarda nemmeno lontanamente e che quindi non potrete mai capire nel profondo: mi sbagliavo. Mi sbagliavo di grosso.
Ho sentito parlare di guerre, combattute sulla terra. Uomini che uccidono altri uomini e obbligano intere popolazioni a fuggire: non credevo che in tutto l’universo esistesse un pianeta in cui si costringono all’esilio i propri simili. Ho scoperto che anche questo è un mondo di invasori ed invasi, ma le vostre sono storie che non giungono fino alla mia lontana galassia. Probabilmente nessuno si è interessato a questo pianeta, capace di tanto odio. L’intero universo ascolta i racconti su questo luogo mistico che chiamate “terra”, ancora estraneo agli attacchi di altri mondi. Triste constatare attraverso le vostre parole che non avete bisogno di galassie ad attaccarvi per scoprire cosa significa la guerra, e che le battaglie le combattete gli uni contro gli altri, senza nè pietà nè compassione per i vostri stessi simili. Costringete all’esilio altri essere umani, e attendete che la sorte di ognuno si compia, dopo aver forzato queste persone ad abbandonare i propri cari, la propria casa, il proprio passato.
Mi piaceva pensare che l’esilio fosse una tragedia sconosciuta sulla terra, invece a voi basta un pianeta soltanto per cercare di distruggervi a vicenda. “Basta che non venga la guerra”, sottotitolo della rappresentazione teatrale “i quaderni di Nisveta”, rappresenta una mera speranza destinata a svanire nel corso della storia del secolo scorso, in paesi non troppo lontani da Chiasso. E con Nisveta, anche io perdo le speranze di trovare un luogo privo di sofferenza, o conflitti.
Tutto questo odio, sapete, ha delle conseguenze. Il sangue sparso non verrà dimenticato, anche se la gente scappa in altri paesi per cercare di ricominciare una vita più dignitosa, porta con sè il ricordo dei massacri, impregnati nei cuori, nell’anima e nelle memorie. L’esilio rappresenta l’occasione per metabolizzare almeno in parte il dolore e cercare di trovare la forza di ricominciare; è una sorta di terra d’attesa in cui non si è sicuri cosa si sta aspettando, ma si aspetta, sperando che prima o poi il futuro sembri un po’ meno tetro. Nisveta, durante il teatro, ha sostenuto “il termine straniera mi richiama soltanto una sensazione: quella di non sapere dove andare.”
Non sapere dove andare. L’unica cosa certa è che da dove si è partiti non si vuole tornare, e che qualsiasi cosa possa attenderci il futuro è migliore delle esperienze passate. Per questo l’esilio è terra di mezzo fra passato e futuro, fra certezze e incertezze, fra un luogo chiamato “casa” e un mondo sconosciuto. Un eterno vagare, senza mete definite.