Martedì mi dicevo curioso di scoprire come se la cavavano i vostri scrittori, nonostante la grossa limitazione di dover scrivere con le dita, invece di semplicemente pensare i testi e i libri da pubblicare. Essendo qui in esilio temporale dal 2089, è la domanda che mi gira più spesso nella testa.
Ma devo dire che mi avete sorpreso in bene. Almeno a giudicare dall’inizio col botto che ha avuto Chiassoletteraria ieri sera!
Gustandomi I quaderni di Nisveta (mi raccomando, l’accento sulla vocale giusta) mi sono ritrovato in molte cose. Il fatto di dare uno sguardo sul passato da un punto di vista futuro, per esempio. È come se Elvira Mujčić, nello scrivere la pièce, fosse carambolata dal futuro verso quel suo passato, guardandolo con occhi inevitabilmente diversi.
La differenza è che io, nel 2013, non ero ancora nato. La società in cui mi trovo adesso — in cui mi sono ritrovato per sbaglio — la conosco solo grazie ai libri. Ma a dir la verità non l’ho mai vissuta, non la sto rivivendo una seconda volta come Elvira nello scrivere questa pièce. O forse una terza, una quarta, dato che non è la prima volta che ritorna indietro nel tempo con un’opera letteraria.
A volte ci si sente spaesati, a guardare indietro nel tempo. Figuratevi me, che oltretutto non posso nemmeno limitarmi a guardare indietro. In questo tempo — nel vostro tempo — ormai sono obbligato a viverci.
Ma quello che più mi ha colpito, al di là del bellissimo spettacolo in sé, è l’immagine profondamente diversa che Elivra Mujčić e Carla Del Ponte hanno di Srebrenica, una non meno reale dell’altra: una scuola elementare e i sorrisi, per l’una; una fossa comune e gli spari, per l’altra.
Craig Mod dice che gli unici libri che val la pena considerare, consistono esclusivamente in legami. Legami fra le idee e i loro contenitori. Fra autori e lettori. Fra lettori ed altri lettori. (Se ne parlerà anche stasera, di cos’è un libro nell’era digitale.)
E i luoghi? Cosa sono i luoghi, se non il legame emozionale che con quel luogo abbiamo?